Il presidente Usa colpisce il Canada (e non solo) con dazi al 50% su acciaio e alluminio. Ecco il perché di questa decisione e le possibili conseguenze per l’Italia.
La guerra commerciale tra Stati Uniti e Canada procede incessante, con grosse ripercussioni all’agguato per tutti i mercati internazionali. È appena giunta la decisione di Trump di alzare (ancora) i dazi su acciaio e alluminio canadesi, lanciando anche un attacco diretto al settore automobilistico del Paese. Questa è la dura risposta del tycoon alla tassazione imposta sulle esportazioni energetiche verso gli Stati Uniti dal premier dell’Ontario, Doug Ford. Quest’ultimo aveva a sua volta agito in risposta alla misura di Trump, che aveva già innalzato le tariffe doganali sulle importazioni canadesi al 25%. Si passa ora al 50%, con entrambi i leader granitici nelle proprie posizioni e senza l’ombra di una tregua.
Continua così l’effetto a catena sulle economie mondiali e sui posti di lavoro da cui nemmeno l’Italia e in generale l’Europa possono dirsi davvero al sicuro. D’altro canto, la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni circa una settimana fa aveva comunicato l’intenzione di confrontarsi con Trump, in virtù dell’ottimo rapporto diplomatico, e fargli presente che “la guerra dei dazi non conviene”. La premier si è detta impegnata a tutelare l’Italia da queste rappresaglie che non accennano a interrompersi, mentre anche la presidente Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, si prepara a limitare le conseguenze. Intanto, i nuovi dazi su acciaio e alluminio canadesi entrano in vigore mercoledì 12 marzo, senza cenni di ripensamento del tycoon, concentrato sulle strategie per rendere l’America di nuovo grande.
Trump alza i dazi al 50% su acciaio e alluminio canadesi
Come anticipato, Donald Trump ha deciso di incrementare di un ulteriore 25% i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio dal Canada, arrivando così a tariffe doganali del 50%. Una vera e propria stangata per il mercato canadese, che deve attendersi nuovi colpi, soprattutto per il settore automobilistico. Oltre al Canada, la guerra commerciale colpisce anche acciaio e alluminio provenienti dal Messico, nel mirino del tycoon fin dall’inizio dell’anno. D’altronde, Trump ha promesso incessantemente durante la campagna elettorale la piena ripresa dell’industria nazionale, appropriandosi del famoso “make America great again”.
Lo strumento principale sembrano proprio i dazi, che avevano caratterizzato (senza troppo successo) anche il primo mandato trumpiano, per quanto non a questi livelli. Il cambiamento inteso da Trump è quindi incentrato sulla produzione e l’esportazione attraverso materie prime e lavorazioni locali, contrariamente da quanto di solito caratterizza l’economia di una superpotenza come quella statunitense. Se la strategia fuori dal comune possa rivelarsi vincente almeno per gli Stati Uniti è ancora presto per dirlo, ma non c’è ombra di dubbio che porterà a effetti devastanti per tutti gli altri Stati. I consumatori dovrebbero essere incentivati all’acquisto di materiali nazionali, che potranno essere venduti a prezzi inferiori, ammesso che le aziende possano compensare l’ampia richiesta di materie prime.
Basti pensare che proprio il Canada fornisce la maggior parte dell’alluminio agli Usa, toccando vette del 79% fino a novembre 2024. Difficile pensare che questa stretta relazione possa facilmente essere diversificata e non si tratta affatto di un dubbio grossolano. Gli economisti ritengono infatti più plausibile un aumento generale dei prezzi dovuto alle tariffe doganali aggiuntive pagate dalle aziende, che potrebbero non reperire una parte soddisfacente del proprio fabbisogno dai produttori americani o addirittura non averne troppa convenienza.
Un effetto disastroso considerando che proprio gli Stati Uniti sono al primo posto come importatori e dovrebbero quanto meno compensare il rifornimento con Paesi diversi da quelli finiti nel mirino di Trump. Il leader Usa, però, ha dalla sua l’esperienza nel primo mandato alla Casa Bianca, quando dopo l’imposizione dei dazi la diminuzione della domanda interna (correlata all’aumento di produzione) ha riportato i prezzi al livello precedente nel giro di 1 anno. Che questo sia un obiettivo auspicabile, poi, è opinabile.
Cosa rischia l’Italia
La guerra commerciale non conviene a nessuno secondo Giorgia Meloni e la posizione di svantaggio dell’Italia è ormai sotto gli occhi di tutti. Per quanto le industrie italiane, come peraltro quelle europee, non saranno colpite direttamente dalle dure tariffe doganali statunitensi, gli esperti hanno pronosticato effetti importanti sia in termini economici che posti di lavoro, per lo più a causa di un rallentamento della crescita. Le importanti esportazioni verso gli Stati Uniti, nell’ottica di possibili nuovi dazi, sono però molto pesanti. Lo studio Svimez sull’argomento delinea i seguenti scenari:
- perdita del Pil nazionale 1,9 miliardi e dell’export verso gli Usa di poco meno di 2,9 miliardi di euro;
- diminuzione del Pil nazionale di 3,8 miliardi di euro e di 5,8 miliardi di euro dell’export verso gli Usa;
- diminuzione di 5,4 miliardi del Pil, export Usa ridotto di 8 miliardi.
Le diverse possibilità dipendono dalle tariffe doganali presunte sulle varie ipotesi e il secondo scenario, quello intermedio, pare il più probabile al momento perché riflette le misure contro Canada, Messico e Cina. La perdita occupazionale annua sarebbe invece compresa fra 53.600 e 76.000 unità circa. Meloni sembra però fiduciosa della propria possibilità di difendere l’Italia in qualità di “nazione esportatrice”. Nel frattempo, restano gli effetti indiretti della guerra commerciale, con oscillazioni dei prezzi importanti.
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