L’Ue “invade” l’Asia Centrale, si cercano questi minerali

Ilena D’Errico

6 Aprile 2025 - 16:00

L’Unione europea è pronta a intensificare i rapporti con l’Asia Centrale, ha bisogno di questi minerali (e le repubbliche asiatiche di investimenti).

L’Ue “invade” l’Asia Centrale, si cercano questi minerali

L’Unione europea invade l’Asia centrale, figurativamente parlando. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, e Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, hanno appena preso parte al summit con le cinque repubbliche dell’area chiarendo l’interesse per i minerali senza lasciare spazio a equivoci. La leader europea porta avanti le ambizioni sulle materie prime locali promettendo i vantaggi dell’approccio comunitario, più rispettoso della zona, al contrario di altri Paesi esportatori che si limiterebbero a “estrarre e sfruttare”.

L’Unione europea non è infatti l’unica ad aver puntato lo sguardo sull’Asia centrale, contesa tra Cina e Russia che oggi detengono rapporti di interesse ben più prestigiosi sulla zona. L’Ue è però determinata ad accrescere la propria presenza, ora che diversificare le fonti di approvvigionamento è diventato più che mai indispensabile visto lo scenario geopolitico. Si cercano principalmente minerali, materie prime essenziali per far fronte alle sfide tecnologiche e ambientali aumentando l’indipendenza dai rivali orientali.

L’Ue “invade” l’Asia Centrale per questi minerali

I territori dell’Asia Centrale sono straordinariamente ricchi dal punto di vista minerario, detenendo percentuali di materie prime consistenti. Di seguito, l’ammontare dei giacimenti minerari detenuti rispetto al totale mondiale:

  • manganese (38,6%);
  • cromo (30,07%);
  • piombo (20%);
  • zinco (12,6%);
  • titanio (8,7%).

Il Kazakistan, che rappresenta anche il maggiore produttore di uranio al mondo, ha inoltre annunciato poco prima del summit la scoperta di un giacimento impressionante: oltre 20 milioni di tonnellate di terre rare. Se confermata dalle verifiche indipendenti, la risorsa potrebbe stravolgere completamente gli attuali equilibri e portare il Paese terzo in classifica per depositi, dietro Cina e Brasile. Di fatto anche il Kazakistan, come l’intera Asia Centrale, necessita di nuovi investimenti e l’intervento europeo potrebbe inserirsi provvidenzialmente in questo contesto.

La presidente Ursula von der Leyen si impegna a mettere in campo ben 2,5 miliardi di euro per il settore minerario, nel complesso di un piano di investimenti da 12 miliardi di euro contenuto nella dichiarazione congiunta d’intenti con le repubbliche dell’area: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Si tratta di Stati con un potenziale centrale per la transizione ecologica europea, ma pure per l’emancipazione da Russia e Cina. Queste ultime, insieme alla Malesia, hanno provveduto al 94% delle importazioni di terre rare verso l’Unione europea nel 2023. Una centralità che oggi non è più sostenibile, ma che richiede l’avvio di una cooperazione più solida e cementata da dimostrazioni pratiche.

Anche se i Paesi asiatici hanno accolto di buon grado l’interesse europeo, investimenti di cui c’è un’impellente necessità, non possono certo permettersi di stravolgere le proprie dinamiche basandosi solo sulla fiducia. Non soltanto le repubbliche sono strettamente collegate con Mosca e Pechino in un rapporto di vera e propria dipendenza reciproca, c’è anche il problema della reputazione dell’Unione europea. Le generose promesse comunitarie non sono sempre seguite da azioni altrettanto tempestive e l’Asia Centrale deve andarci cauta.

A favore dell’Ue, tuttavia, ci sono basi solide per una collaborazione a lungo termine proficua per tutte le parti coinvolte. Dell’ingente investimento annunciato da von der Leyen, una parte cospicua è infatti affidata al settore dei trasporti (circa 3 miliardi di euro). Una decisione che si inserisce nella partecipazione al progetto infrastrutturale Global Gateway, che si pone l’ambizioso obiettivo di sostituire i collegamenti commerciali della nuova via della seta cinese. Per un costo di circa 8,5 miliardi di dollari, si dovrebbe così ottenere un corridoio nel Mar Caspio capace di ridurre drasticamente i tempi di trasporto tra Asia ed Europa.

Chiaramente, l’Asia Centrale svolge un ruolo fondamentale nella rotta alternativa, come pure nel progetto - che ha un costo complessivo di circa 300 miliardi di dollari - di cui forse l’Unione europea si accorge con colpevole ritardo. Russia e Cina, certo aiutate dai rapporti preesistenti, hanno consolidato la propria presenza tempo addietro e sono oggi in una consistente posizione di vantaggio. Per l’Unione europea è quindi tempo affrettarsi, rischiando altrimenti di arrancare con fatica nell’avanzamento tecnologico e nella transizione energetica, obiettivi che oggi sono più urgenti che mai.

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