La Russia potrebbe subire un duro colpo economico se l’Arabia Saudita cambiasse strategia sul prezzo del petrolio. Ecco perché.
La Russia potrebbe trovarsi a corto di liquidità a causa delle strategie dell’Arabia Saudita sul petrolio.
La vendita di greggio e gas è stata infatti la più grande fonte di entrate per lo stato russo negli ultimi dieci anni, rappresentando fino a metà del bilancio del Paese. L’economia di guerra di Mosca poggia in parte su questi preziosi combustibili, superando anche gli ostacoli delle sanzioni occidentali.
È noto ormai che la Russia abbia sviluppato una “flotta ombra” di vecchie navi per trasportare il suo greggio, violando il tetto massimo di 60 dollari al barile imposto dai Paesi del G7. L’elusione delle restrizioni ha fruttato al Cremlino quasi 25 miliardi di dollari dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
Una scappatoia consente inoltre agli intermediari di Paesi come Turchia, Cina e India di raffinare il petrolio russo in benzina e gasolio prima di venderlo altrove, esenti da sanzioni.
In questo contesto si inserisce il ruolo dell’Arabia Saudita nel manovrare il prezzo del petrolio. Perché il Regno può mandare in rovina l’economia russa?
Così l’Arabia Saudita e il petrolio possono svuotare le casse russe
Mosca si ritroverà a corto di fondi per sostenere la sua economia di guerra se l’Arabia Saudita realizzerà i suoi piani di aumentare la produzione di greggio per proteggere la propria posizione di re del petrolio mondiale: questa l’ipotesi paventata da un’analisi apparsa su Politico.eu.
La possibilità di un tale scenario non è così improbabile osservando le dinamiche economiche e geopolitiche mondiali.
Riyadh appare sempre più frustrata dal fallimento degli altri Petrostati nel tagliare l’offerta per aumentare i prezzi del petrolio a circa $100 al barile, rispetto agli attuali $70.
I commercianti di petrolio affermano che l’Arabia Saudita sarebbe quindi intenzionata a produrre e a esportare più petrolio per accaparrarsi quote di mercato e profitti, anche se i prezzi scendono.
Il Financial Times ha riferito che l’Arabia Saudita potrebbe abbandonare il suo ambizioso proposito di limitare l’offerta di greggio per far salire i prezzi intorno ai 100 dollari al barile.
Gli esperti sono certi che il Regno abbia un’enorme capacità di produzione ed esportazione per cambiare strategia e puntare al dominio del mercato attraverso i volumi. Immettere sul mercato più quote di greggio dinanzi a prospettive di crescita economica incerte significherebbe far abbassare i prezzi (ma aumentando la quantità venduta dai sauditi).
“L’economia globale è piuttosto lenta e la domanda di petrolio non è così alta come vorrebbero i sauditi”, ha affermato Ajay Parmar, direttore dell’analisi dei mercati petroliferi presso la società di intelligence sulle materie prime ICIS. “Alcuni produttori, tra cui la Russia, stanno costantemente superando le loro quote, il che significa che i prezzi non sono neanche lontanamente vicini ai $100 al barile e i sauditi stanno perdendo la pazienza. Questo sarebbe un modo per i sauditi di lanciare un avvertimento al mercato che agiranno”.
Mikhail Krutikhin, analista energetico russo con sede in Norvegia, ha affermato che la possibile mossa dell’Arabia Saudita rappresenta un rischio enorme per il bilancio statale di Mosca, a causa della sua forte dipendenza dalle entrate petrolifere.
La posta in gioco per la Russia è alta
Secondo Alexandra Prokopenko, economista e ricercatrice del Carnegie Endowment for International Peace, “agli attuali tassi di cambio, un calo di $20 nei prezzi del petrolio porterebbe a un calo di 1,8 trilioni di rubli (20 miliardi di dollari) nei ricavi. Ciò equivale a circa l’1% del Pil russo”.
“Il Governo si troverebbe di fronte alla scelta tra ridurre la spesa, cosa improbabile durante una guerra”, ha aggiunto Prokopenko, “o accettare la pressione inflazionistica e tassi di interesse soffocanti”.
La Russia, insieme a Paesi come il Kazakistan e l’Iraq, è stata accusata di aver spedito più petrolio di quanto concordato con il cartello OPEC+. Mosca ha costantemente superato la sua quota volontaria, che attualmente è di 8,98 milioni di barili al giorno, nonostante abbia giurato più volte di riportare la produzione in linea con l’obiettivo.
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Secondo il ministero delle Finanze di Mosca, i profitti della Russia derivanti dai combustibili fossili sono aumentati del 41% solo nella prima metà di quest’anno, nonostante le sanzioni occidentali imposte per la guerra in Ucraina.
Tuttavia, secondo l’analisi, anche se l’Arabia Saudita optasse per questa strategia, è improbabile che un Cremlino a corto di liquidità faccia marcia indietro nella sua guerra contro l’Ucraina, nonostante abbia impostato il suo bilancio nazionale sull’aspettativa che il suo greggio venga venduto a circa 70 dollari al barile, più di quanto la maggior parte delle persone sia disposta a pagare.
“I segnali di squilibri nell’economia stanno aumentando”, ha affermato Heli Simola, ricercatore presso la Banca di Finlandia, “ma la Russia potrà continuare a finanziare la guerra per un po’ di tempo. La guerra non finirà perché sta esaurendo i soldi”.
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