Nel giorno in cui l’Ue ufficializza la procedura contro Budapest, Confindustria lancia l’allarme: entro Natale si rischiano lo stop delle aziende e 582.000 posti di lavoro. E nel 2023, 3 punti di Pil
Che fosse una pantomima era noto da subito. Ma l’ufficializzazione della procedura di congelamento dei fondi Ue per l’Ungheria, a seguito di reiterate violazioni dello stato di diritto, ha stabilito un nuovo record: nemmeno emanato l’atto, Budapest già rassicurava sulla propria volontà di mettersi in regola. Ed entro i tre mesi previsti dai regolamenti.
Insomma, la violazioni poste in essere da Viktor Orban sono talmente gravi e sistematiche da poter essere eliminate nell’arco di un trimestre, evitando all’Ue la grana di un casus belli che, lungi da dar vita ad apocalittiche derive di Budapest sotto l’influenza russa, semplicemente imporrebbero alla stessa Unione Europea una clamorosa ammissione di incoerenza. Cosa viene imputato all’Ungheria, soprattutto? Corruzione, minaccia alla libertà di stampa e politiche sulla maternità che violerebbero i diritti delle donne.
C’è un problema. A capo dell’Europarlamento c’è Roberta Metsola, politica maltese. Paese quest’ultimo oggetto di reiterati e ufficiali richiami per scarso contrasto alla corruzione endemica, dove i giornalisti scomodi non ricevono querele ma autobombe e dove, soprattutto, l’aborto è illegale. Ora, se fra tre mesi Bruxelles dovesse confermare il taglio dei fondi, quanto ci metterebbe Budapest a scatenare l’inferno rispetto a questa ridicola commedia? Perché, alla fine, tutti sanno che il problema di Viktor Orban è uno solo. Anzi, due. Aver attaccato George Soros e non srotolare tappeti rossi alla lobby LGBT. Ora, poi, il rinnovo del contratto con Gazprom ha costretto l’Ue a intervenire. Ma con l’ennesimo buffetto e un bel rinvio a fine autunno, in perfetto stile price cap.
In compenso, oggi avrebbe dovuto essere altra la notizia. Quantomeno in Italia. Perché se l’Ungheria rischia potenzialmente di festeggiare Natale con i fondi di coesione più che dimezzati (previsto il taglio del 65%), il nostro Paese rischia di dover bruciare l’albero per scaldarsi. Lo testimoniano due quotidiani non certo anti-governativi come IlSole24Ore e Il Messaggero,
i quali a loro volte riprendevano uno studio di Confindustria, altra organizzazione certamente non in odore di eversione bolscevica. La situazione energetica del nostro Paese, al netto della retorica sugli stoccaggi e le fonti alternative di approvvigionamento, sarebbe tale da vedere interi comparti a rischio di stop forzato entro la fine dell’anno, poiché il metano non sarebbe sufficiente e i costi ingestibili. Di più, il medesimo report dell’associazione degli industriale parla di 582.000 posti di lavoro a rischio per quest’anno e oltre 3 punti di Pil nel 2023.
Ora, qualcosa non torna. Sia nella narrativa del governo, sia in quella dei media. Perché se il medesimo Sole24Ore oggi ha smentito la notizia diffusa solo ieri da Repubblica di uno stop dell’elettricità dalla Francia per i prossimi due anni, questo contemporaneo allarme sembra gettare un’ombra ancora più scura. Nei fatti, in primo luogo. E in prospettiva, perché se c’è un qualcosa che rischia di innescare spirali di crisi auto-alimentanti in economia e sui mercati è proprio l’incertezza. E non sapere come stanno le cose, fra stoccaggi e future disponibilità, è un qualcosa che giocoforza prima o poi imporrà un ulteriore prezzo alle nostre aziende già allo stremo.
Soprattutto alla luce di un’Europa che ha ammesso candidamente il proprio fallimento nel tentativo di mediazione verso un price cap comune sul gas, costringendo il ministro Cingolani ad annunciare/minacciare un futuro provvedimento ad hoc a livello nazionale. Quando, però? E con quali modalità? Perché tre mesi passano in fretta. E se l’Ungheria può affrontarli con uno spirito da business as usual, garantito dal forzato e cialtronesco dadaismo politico di quel Cabaret Voltaire chiamato Commissione Ue, il rischio per l’Italia appare esiziale. Stante i razionamenti già annunciati, quantomeno. E stante questo,
How gas rationing at Germany’s BASF plant could plunge Europe into crisis https://t.co/VmRUlkr2ZW
— The Guardian (@guardian) September 15, 2022
un viaggio al termine dell’energia (e della speranza) che il britannico Guardian ha compiuto in quello Stato parallelo che è la BASF, la vera dinamo economica della Germania. Insomma, unite l’allarme di Confindustria al crollo delle commesse di macchinari e componentistica provenienti dalla Germania e il quadro appare chiaro. Sapere come stanno le cose, è davvero chiedere troppo? Ma tranquilli, domani ci sono i funerali della Regina Elisabetta e riparte il Grande Fratello. Nessuna traccia di realtà a reti unificate, quindi.
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