L’Ungheria paga una multa di €1 milione al giorno pur di non accogliere i migranti

Maria Paola Pizzonia

8 Febbraio 2025 - 22:30

Orbán sfida Bruxelles a spese degli ungheresi, ma in realtà dipende dai fondi UE.

L’Ungheria paga una multa di €1 milione al giorno pur di non accogliere i migranti

Il governo ungherese di Viktor Orbán ha deciso di sfidare apertamente l’Unione Europea sulla questione migratoria, arrivando a preferire una multa giornaliera di un milione di euro piuttosto che adeguarsi alle normative comunitarie. Secondo il primo ministro, pagare la sanzione imposta da Bruxelles sarebbe economicamente più vantaggioso rispetto ai costi che comporterebbe l’accoglienza dei richiedenti asilo. Un calcolo che trasforma la solidarietà internazionale in un problema di bilancio e che conferma la strategia di Orbán: vendere la disobbedienza come patriottismo mentre scarica il peso delle sue scelte sui contribuenti ungheresi.

La sanzione della Corte di Giustizia Europea

Tutto ha origine da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 2020, che ha stabilito come l’Ungheria avesse violato le regole europee in materia di asilo e rimpatrio, limitando illegalmente l’accesso alla protezione internazionale. Nonostante la decisione, Budapest ha ignorato l’obbligo di conformarsi, portando la Commissione Europea a intervenire con una nuova sentenza nel giugno 2024: una multa di 200 milioni di euro, più una penalità giornaliera di un milione per ogni giorno di ritardo nell’attuazione della normativa.

Di fronte a questa sanzione, Orbán non ha fatto marcia indietro. Al contrario, ha trasformato la vicenda in una prova di forza, descrivendo la scelta di non pagare come un atto di “ribellione” contro Bruxelles. La realtà, però, è ben diversa: la Commissione Europea ha già trattenuto i 200 milioni direttamente dai fondi destinati all’Ungheria e ha iniziato a sottrarre anche i milioni accumulati per la multa giornaliera.

Una scelta radicale a spese degli ungheresi

Orbán ha giustificato la sua posizione affermando che accettare migranti sarebbe stato più costoso della sanzione, ma il ragionamento non regge. Il problema non è economico, bensì politico. L’intero sistema di welfare e sviluppo dell’Ungheria è finanziato in larga parte dai fondi europei, che Budapest incassa senza problemi quando si tratta di investimenti infrastrutturali o sostegno all’agricoltura. Eppure, quando si tratta di rispettare i principi fondanti dell’UE – come la gestione condivisa dell’accoglienza – il governo ungherese si chiude a riccio e dipinge Bruxelles come un oppressore.

L’Ungheria sta pagando una cifra astronomica per dimostrare di non voler accogliere migranti, mentre il sistema sanitario e i servizi pubblici soffrono di sottofinanziamento cronico. La scelta di pagare le multe piuttosto che conformarsi alle normative europee solleva dubbi sul futuro delle relazioni tra Budapest e l’UE, ma soprattutto smaschera il paradosso dell’ultranazionalismo di Orbán: da un lato si oppone ferocemente all’ingerenza di Bruxelles, dall’altro accetta che la sua economia dipenda dai fondi europei, salvo poi vederli evaporare in sanzioni autoimposte. Questa “ribellione” non è altro che una costosa mossa populista, utile per alimentare la retorica anti-immigrazione a uso interno, mentre i costi reali ricadono sulla popolazione.

Il prezzo politico del sovranismo

Insomma, nei fatti il governo ungherese non sta sfidando Bruxelles, ma sta solo pagando pegno per mantenere la propria narrativa sovranista, restando però sempre agganciato all’Unione. Orbán fa la voce grossa, ma intanto versa milioni di euro al giorno nelle casse dell’Unione Europea, quell’istituzione che dipinge come nemica ma senza la quale l’economia ungherese faticherebbe a reggersi. Ecco chi è Orbán: un leader che tuona contro le élite di Bruxelles mentre accetta, senza battere ciglio, le condizioni finanziarie che lo tengono a galla. E mentre l’Ungheria si isola politicamente, chi trae vantaggio dal suo allontanamento dall’Europa sono Mosca e Pechino, pronte a colmare il vuoto finanziario lasciato dall’UE.

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