I rialzi eccessivi del prezzo del barile creano una situazione nella potrebbero venire messe a rischio le attuali politiche monetarie delle banche centrali, vediamo perché
Nei primi giorni del 2020, la guerra commerciale tra Usa e Cina, tema che aveva governato l’andamento dei mercati nel corso del 2019, è passata per un momento in secondo piano.
Il vero tema che ha scosso le quotazioni dei principali listini globali è stata l’escalation di tensioni tra Stati Uniti e Iran, scattata con l’uccisione del generale Qasem Soleimani da parte di un drone americano.
Tra gli asset più influenzati da questo conflitto compare sicuramente il petrolio. L’Iran è il secondo produttore dei Paesi OPEC, e potrebbe decidere, se le tensioni dovessero andare avanti, di chiudere lo stretto di Hormuz. In questo stretto, che divide le coste dell’Iran dalla penisola arabica, transita circa il 20% della produzione di petrolio mondiale.
Anche se l’eccesso di euforia sui prezzi della materia prima è rientrato dopo breve tempo, va evidenziato come le quotazioni del WTI abbiano registrato un massimo a 65,65 dollari (livelli più alti dal 25 aprile 2019), mentre quelle del Brent a 71,75 dollari (massimi dal 16 settembre 2019).
*Il 74% dei conti degli investitori retail perde denaro negoziando CFD con questo fornitore. È necessario valutare se si può sostenere il rischio elevato di perdere il capitale investito.Il binomio petrolio-inflazione e la BCE
Solitamente, un incremento del 10% del prezzo del petrolio porta ad una crescita dell’inflazione dello 0,2%. Nell’immediato quindi non dovrebbero esserci troppi problemi, ma se le quotazioni dovessero proseguire a crescere nel lungo termine si potrà assistere ad un’inflazione più elevata, fatto che metterebbe in difficoltà la BCE e le sue politiche monetarie ultra-accomodanti.
Secondo alcuni esperti, un incremento del greggio verso gli 80 dollari al barile creerebbe le condizioni per raggiungere i target di inflazione dell’istituto centrale europeo nella seconda parte del 2020.
In ogni caso, vista la debolezza del quadro economico europeo e considerando che alcuni studi evidenziano come l’incremento del 10% del valore del WTI penalizzi il tasso di crescita del PIL dell’Eurozona dello 0,1%, sembra difficile che l’istituto centrale europeo diventi più “falco”.
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