Da Taiwan al Kosovo fino alle Isole Salomone e naturalmente l’Ucraina: gli Usa sembra che vogliano una guerra con la Cina o, perlomeno, mantenere alto il livello di tensione.
Dopo 160 giorni di guerra in Ucraina, con una inflazione record in tutto l’Occidente, una crisi energetica che rischia di costringere l’Europa a dei razionamenti, una possibile catastrofe alimentare in Africa a causa del blocco del grano e una recessione che è già realtà in diversi Paesi nonostante il rimbalzo post-Covid, una domanda sorge spontanea in merito al comportamento degli Stati Uniti: perché?
Perché dopo oltre cinque mesi di guerra in Ucraina gli Usa non solo hanno evitato ogni tentativo diplomatico con la Russia, ma hanno boicottato anche ogni iniziativa di dialogo degli altri Paesi con dichiarazioni incendiarie?
Perché nonostante non fosse nel programma ufficiale, Joe Biden non sta bloccando la visita della speaker Nancy Pelosi a Taiwan provocando l’ira della Cina che ha minacciato di usare l’esercito di fronte a quello che reputano un autentico affronto da parte di Washington?
Perché pochi giorni dopo la visita del segretario di Stato americano Antony Blinken nel Kosovo, il governo di Pristina ha confermato la misura che vieta alla minoranza serba l’utilizzo di targhe e documenti rilasciati da Belgrado, tornando parzialmente sui propri passi solo dopo l’inizio di una rivolta nel Nord del Paese con la Serbia già pronta ad ammassare le proprie truppe lungo il confine?
Senza contare le rinnovate tensioni tra Iran e Israele per la questione delle armi atomiche, figlie soprattutto della decisione di Donald Trump di stralciare l’accordo sul nucleare che era stato siglato con Teheran, il sentore è che gli Stati Uniti oltre al non fare nulla per fermare il conflitto in Ucraina, stiano cercando di provocare continuamente la Cina proprio nel momento in cui l’incubo di una terza guerra mondiale mai è stato così tristemente reale.
Gli Usa vogliono una guerra con la Cina?
Per capire quando sia ipocrita la recente politica estera degli Stati Uniti, si possono prendere ad esempio le parole pronunciate da Daniel Kritenbrink, l’incaricato Usa per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, dopo l’accordo sulla sicurezza siglato tra le Isole Salomone e la Cina.
“Rispettiamo la sovranità delle Isole Salomone - ha dichiarato Kritenbrink - Ma volevamo anche far loro sapere che se venissero presi provvedimenti per stabilire una presenza militare cinese permanente de facto, allora avremmo significative preoccupazioni e risponderemo a queste preoccupazioni”.
In sostanza mentre l’Occidente sta condannando (giustamente) la guerra mossa dalla Russia all’Ucraina, dettata soprattutto dal fatto che Mosca si è sentita minacciata dal possibile ingresso di Kiev nella Nato, gli Usa hanno minacciato un piccolo Stato sperduto nel Pacifico reo di aver sottoscritto (liberamente) un accordo con Pechino che potrebbe prevedere la realizzazione di una base militare cinese in loco.
Ma la cosa che appare ancor più incomprensibile è l’aumento della tensione per la questione Taiwan da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, come se la situazione non fosse già abbastanza critica.
Nancy Pelosi dopo aver rimandato in primavera il suo viaggio causa Covid, è in missione in Asia Orientale e il programma prevede visite e incontri in Malaysia, Corea del Sud e Giappone.
Nonostante il parere negativo di Joe Biden “i generali mi dicono che non sarebbe una buona idea in questo momento” ma forse il presidente ci sarebbe potuto arrivare anche da solo, la speaker oggi dovrebbe fare un fuori programma recandosi a Taipei.
Una visita che rappresenta un vero e proprio affronto per la Cina, che considera Taiwan come una parte del suo territorio. Pechino così ha dichiarato che il suo esercito “non starà a guardare” con diversi caccia cinesi che hanno sorvolato lo spazio aereo dell’isola contesa.
Sarebbe bello sapere poi perché Antony Blinken nella sua visita a Pristina, dove “le parti hanno anche discusso gli ultimi progressi nel quadro del dialogo mediato dall’Unione europea per la normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia”, non abbia convinto il governo locale ha stoppare subito le nuove norme riguardanti la minoranza serba, con Belgrado (alleata di ferro di Pechino) ora pronta alla mobilitazione militare.
Considerando anche lo stallo delle trattative diplomatiche in Ucraina e i Balcani che sembrerebbero essere tornati a essere una polveriera, non vanno dimenticate infatti le tensioni anche in Bosnia oltre a quelle nel Kosovo, gli Stati Uniti più che lavorare per la pace sembrerebbero essere impegnati per un prosieguo della guerra, provocando al tempo stesso la Cina incuranti dei catastrofici rischi di un allargamento del conflitto in corso alle altre potenze mondiali.
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