L’Italia estende la Digital Service Tax a tutte le imprese digitali, ma gli introiti restano modesti. La Global Minimum Tax rischia di non arginare l’elusione. Tanto rumore per nulla?
Fanno davvero tenerezza questi tentativi fatti dai governi europei, ed anche da quelli italiani, di tassare i colossi del Web, le multinazionali americane che hanno spesso raggiunto quotazioni stratosferiche al Nasdaq, come Facebook, Google o Twitter.
Va tanto di moda parlarne, perché sono piattaforme che veicolano quotidianamente centinaia di milioni di messaggi tra altrettanti milioni di persone che le seguono con assiduità e passione.
Per evitare la incostituzionalità della normativa in vigore in quanto illegittimamente discriminatoria, visto che prende in considerazione solo i “colossi” del Web escludendo tutti gli altri “piccoli” operatori, l’articolo 4 comma 1 del disegno di legge di bilancio per il 2025 prevede di estendere a tutte le imprese il pagamento dell’Imposta sui Servizi digitali (Digital Service Tax), con un’aliquota del 3% sui ricavi derivanti dalla fornitura dei seguenti servizi digitali: veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia; messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi; trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale. [...]
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