La Web Tax slitta a metà 2021, ancora non c’è l’accordo politico tra i 137 Paesi: il rischio è una guerra commerciale a suon di dazi. Ecco le ultime novità.
La web tax slitta di almeno altri sei mesi, entrando così in vigore non più a fine 2020 ma a metà 2021.
Non è stata solo la pandemia globale a rallentare i tempi, ma anche il mancato accordo tra i 137 Paesi che fanno parte dell’Inclusive Framework, il programma Ocse contro l’elusione fiscale delle multinazionali.
Lo scenario che si apre per questo mancato accordo non è dei migliori: il pericolo è quello di una moltiplicazione di dazi e una conseguente guerra commerciale.
Web Tax slitta ancora, stavolta a metà 2021: pericolo guerra commerciale
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sta discutendo la riforma del fisco internazionale, un progetto ambizioso che ha due obiettivi:
- tassare i cosiddetti giganti del web, che evitano di pagare le tasse nei Paesi in cui operano;
- creare un’aliquota minima mondiale (secondo gli ultimi calcoli del 12,5%) per evitare che le multinazionali trasferiscano i propri profitti nei paradisi fiscali.
Secondo l’Ocse queste due misure, insieme, potrebbero raccogliere fino a 100 miliardi di dollari all’anno di gettito da parte dei giganti del web, mentre l’aumento delle tasse sulle società ridurre gli investimenti delle multinazionali solo dello 0,1% del PIL mondiale.
Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, e Pascal Saint-Amans, direttore della politica fiscale, hanno dichiarato:
“L’alternativa ad un accordo sarebbe una guerra commerciale [...] potrebbe portare ad un moltiplicarsi delle tasse sui servizi digitali e un aumento della frequenza delle controversie commerciali e fiscali. [...] Nel peggiore scenario, una guerra commerciale mondiale suscitata dall’adozione di tasse unilaterali sui servizi digitali, potrebbe tagliare il PIL mondiale di oltre l’1% annuo.”
Web Tax dal metà 2021?
L’effetto principale della tassazione dei giganti del web sarebbe la distribuzione di quanto versato dalle multinazionali, che quindi non pagherebbero le tasse dove hanno registrato la propria sede fiscale (ad esempio in Irlanda o in Lussemburgo) ma dove generano reddito in realtà, quindi nei Paesi Mercato come Italia o Francia.
L’Ocse ha raccolto il proprio lavoro in due documenti, che saranno presentati e discussi il 14 ottobre durante la prossima riunione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del G20.
Il lavoro più tecnico viene però approfondito solo quando si raggiunge un accordo politico, che è proprio quello che manca in questo momento.
Il risultato delle elezioni del Presidente degli Stati Uniti avrà un ruolo fondamentale (e ancora non è chiara la posizione di Joe Biden).
Quindi l’avvertimento del segretario generale, Miguel Angel Gurria:
“È chiaro che nuove regole sono necessarie con urgenza per garantire l’equità e la giustizia dei nostri sistemi fiscali e adattare l’architettura fiscale internazionale dinanzi all’emergere di nuovi modelli di business e alla trasformazione di quelli più vecchi. In assenza di soluzione mondiale fondata sul consenso, il rischio di nuove misure unilaterali e non coordinate è reale e aumenta di giorno in giorno.”
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