La commissione UE ha chiesto ad Apple un maxi risarcimento fiscale di 13 miliardi di euro per vantaggi fiscali illegittimi negli ultimi 10 anni. Chi ha ragione, chi la spunterà?
L’Unione Europea ha chiesto ad Apple un maxi risarcimento fiscale per la cifra di 13 miliardi di euro negli ultimi 10 anni. Periodo in cui Apple avrebbe agito con un indebito vantaggio fiscale e l’Irlanda avrebbe leso la concorrenza del mercato hi-tech comunitario.
UE, Irlanda, Apple, tassazione multinazionali: chi ha ragione e chi no? Chi la spunterà?
La materia fiscale della tassazione delle multinazionali è particolarmente complessa; certamente è chiaro a tutti come la tassazione irlandese sia particolarmente vantaggiosa, vedi anche il caso Google.
Qui però la questione è ancora più complessa, poiché la Commissione UE ha accusato l’Irlanda di aver creato un bilateral agreement con Apple, assolutamente lesivo della normativa sugli aiuti di Stato e la concorrenza UE.
Proviamo ad analizzare le singole posizioni delle parti in campo - Apple, UE ed Irlanda - provando a comprendere chi abbia ragione, perché e chi vincerà.
La posizione di Apple nella contesa UE-Irlanda
Nella giornata di ieri Apple ha diramato un comunicato stampa ufficiale rivolto alla comunità Apple UE.
Ecco i passaggi più significativi, partendo dalla situazione in cui versava l’Irlanda all’inizio degli anni ’80:
“Trentasei anni fa, ben prima di lanciare l’iPhone, l’iPod e perfino il Mac, Steve Jobs inaugurò la prima sede operativa di Apple in Europa. All’epoca, l’azienda sapeva che per servire i clienti europei avrebbe avuto bisogno di una base nel vecchio continente. Per questo, nell’ottobre 1980, Apple aprì una fabbrica a Cork, in Irlanda, con 60 dipendenti.
In quegli anni Cork soffriva di un tasso di disoccupazione altissimo e di investimenti economici quasi inesistenti. Ma i dirigenti Apple vi riconobbero una comunità ricca di talenti, capace di sostenere la crescita dell’azienda se il futuro fosse stato favorevole.
Da allora abbiamo lavorato a Cork senza soluzione di continuità, persino durante i periodi di incertezza riguardo al nostro stesso futuro, e oggi diamo lavoro a oltre 6000 persone in tutta l’Irlanda; ma è ancora a Cork che si concentra il maggior numero di dipendenti. Alcuni sono con noi fin dal primo giorno, e tutti contribuiscono con funzioni diverse al successo di Apple nel mondo. Innumerevoli multinazionali hanno seguito l’esempio di Apple scegliendo di investire a Cork, e oggi l’economia locale è più forte che mai”.
Ovviamente Apple sottolinea l’importanza che la multinazionale di Steve Jobs ha effettivamente avuto rispetto all’economia irlandese.
Tuttavia, qui potrebbe sorgere spontanea una critica: ma i visionari di Apple - che non vende solo prodotti ma veri e propri “status sociali” - avevano davvero necessità assoluta di ricevere un trattamento fiscale ad hoc? Non sarebbe stato eticamente più accettabile limitarsi ad osservare le già enormemente vantaggiose regole fiscali irlandesi?
In altre parole, al di là delle considerazioni tecniche sulla normativa UE, questo comportamento di Apple non è incoerente con la visione propria del sogno di Steve Jobs?
Ovviamente si tratta di punti di vista, così come appare innegabile che ogni azienda cerchi, costentemente, l’ottimizzazione fiscale delle proprie attività.
Ecco un altro passaggio significativo del comunicato, con l’accusa diretta alla Commissione UE:
“La Commissione Europea ha lanciato un’iniziativa che vuole riscrivere la storia di Apple in Europa, ignorare le normative fiscali irlandesi e sovvertire così l’intero meccanismo fiscale internazionale. Il parere della Commissione emesso il 30 agosto sostiene che l’Irlanda avrebbe riservato a Apple un trattamento fiscale di favore. È un’affermazione che non trova alcun fondamento nei fatti o nella legge. Noi non abbiamo mai chiesto, né tantomeno ricevuto, alcun trattamento speciale. Ora ci troviamo in una posizione anomala: ci viene ordinato di versare retroattivamente tasse aggiuntive a un governo che afferma che non gli dobbiamo niente più di quanto abbiamo già pagato.
La mossa senza precedenti della Commissione ha implicazioni gravi e di vasta portata. Di fatto è come proporre di sostituire la normativa fiscale irlandese con quel che la Commissione ritiene avrebbe dovuto essere tale normativa. Sarebbe un colpo devastante alla sovranità degli Stati membri in materia fiscale e al principio stesso della certezza del diritto in Europa. L’Irlanda ha dichiarato di voler ricorrere in appello contro la decisione della Commissione. Apple farà altrettanto, e siamo fiduciosi che l’ordine della Commissione verrà ribaltato.
Il nocciolo della questione non è quante tasse debba pagare Apple, ma quale Paese debba riscuoterle.
La tassazione delle aziende multinazionali è una materia complessa, ma tutto il mondo riconosce lo stesso principio fondamentale: i profitti di un’azienda devono essere tassati là dove l’azienda crea valore. Apple, l’Irlanda e gli Stati Uniti concordano su questo principio.
Nel caso di Apple, quasi tutte le operazioni di ricerca e sviluppo si svolgono in California, quindi la stragrande maggioranza dei nostri profitti è tassata negli Stati Uniti. Le aziende europee che operano negli USA sono tassate secondo lo stesso principio. Eppure, oggi la Commissione sta chiedendo di modificare retroattivamente queste regole.
Oltre a evidenti ripercussioni per Apple, questa sentenza avrà effetti profondamente negativi sugli investimenti e sulla creazione di lavoro in Europa. Se valesse la teoria della Commissione, qualsiasi azienda in Irlanda e in Europa correrebbe improvvisamente il rischio di vedersi tassata in base a leggi mai esistite”.
Il paradosso dell’Irlanda nel caso Apple-UE
Il paradosso del caso Apple sta anche nella posizione irlandese: forse per la prima volta nella storia ci troviamo di fronte ad uno Stato che, pur avendone la possibilità, rifiuta apertamente di voler ricevere i soldi da Apple.
Il motivo è ovvio. Un diverso comportamento dell’Irlanda metterebbe a serio rischio la salute dell’economia irlandese.
Tuttavia, anche in questo caso non si possono non sottolineare gli aspetti etici e normativi.
Da entrambi i punti di vista, infatti, ci troviamo di fronte ad un comportamento:
- contrario all’etica;
- normativamente scorretto.
Probabilmente la posizione dell’Irlanda diventerà un precedente importante per tutti gli altri potenziali conflitti fiscali delle multinazionali che operano in UE.
Anche UE e Stati Uniti battaglieranno?
Altro aspetto curioso nel gioco delle parti sta nel particolare conflitto esistente tra UE e Stati Uniti. Ovviamente gli USA guardano con grande interesse alla questione, non senza storcere il naso di fronte alle richieste della Commissione Europea.
Per quale motivo? Anche qui è chiaro. Gli USA vorrebbero, a loro volta, attrarre fiscalmente gli utili di Apple. La questione gira in questo caso intorno al concetto di stabile organizzazione: in altre parole, a Cork in Irlanda che tipo di attività intellettuale, progettuale e produttiva di Apple viene realizzata? Non molta, sussurrano i maligni.
Chi la spunterà?
© RIPRODUZIONE RISERVATA