Il mondo del fintech ha subito una notevole accelerazione nel mercato mondiale e in quello italiano. Talmente veloce che oggi necessita di un immediato adeguamento delle competenze da parte degli operatori bancari e assicurativi. Senza perdere più tempo perché il futuro è già qui.
Il settore bancario e quello assicurativo sono tra i più importanti a livello economico in Italia. Basti pensare che le risorse impiegate in entrambi il comparti sfiorano le 500.000 unità e che che tra le 40 aziende che compongono l’indice FTSE MIB della Borsa Italiana il 35% sono banche e assicurazioni. Sono sufficienti solo questi due dati numerici per farci capire l’impatto lavorativo affrontato durante l’anno del Covid-19 che ha visto un vero e proprio cambio di paradigma nell’affrontare l’attività quotidiana di tutti gli operatori del sistema: da un rapporto fisico, diretto e colloquiale con i propri clienti e assicurati alla gestione di una relazione attraverso lo smartphone e un PC con tutte le difficoltà del caso.
Una vera e propria rivoluzione che se da un lato ha accelerato un processo di digitalizzazione e, se vogliamo, di diversificazione dell’offerta come ad esempio un’attenzione sempre maggiore alla Digital Health Insurance (secondo una recente ricerca di KPMG), dall’altro pone degli interrogativi sempre urgenti da risolvere su come i settori bancari e assicurativi debbano affrontare la rivoluzione digitale già in atto.
A questo e a molti altri dubbi risponde #Fintech Expert di Fabrizio Villani e Giancarlo Giudici, edito da Franco Angeli per la collana Professioni Digitali e non senza spirito critico e lucida consapevolezza. Del resto, il sottotitolo a corredo del testo è ben esplicativo: “contro il logorio della banca moderna” riprendendo in maniera calzante il famoso payoff recitato dall’indimenticabile Ernesto Calindri per lo spot dell’amaro Cynar. E proprio ai settori banche e assicurazioni i due autori si rivolgono in prima istanza con l’obiettivo di avvicinare i dipendenti sempre di più ai temi della trasformazione digitale che stanno subendo i settori in cui sono impiegati e che grazie al fintech possono beneficiare non solo di nuove figure professionali ma anche di competenze diverse e in linea con gli standard del digitale.
Che cos’è il Fintech?
Un primo punto fondamentale del libro è stato proprio quello di chiarire la definizione di fintech dal momento che porta con sé molte sfumature che ne cambiano la percezione e l’approccio a seconda del fruitore: da utenti possiamo dire che il fintech rappresenta tutto l’ecosistema di app e piattaforme digitali che ci facilitano l’esistenza verso i nostri servizi finanziari. Da professionisti dei mondi bancario e assicurativo la faccenda si complica non poco dal momento che le startup e le aziende che operano in tale settore hanno un approccio più smart e affrancato, in parte, da tutte le regole a cui sono sottoposte le attività bancarie; aspetto, quest’ultimo, che lo pone come “nemico” del sistema invece che come facilitatore e ponte per l’innovazione.
Non dimentichiamo che la partita tra banche e aziende del settore fintech non viene giocata ad armi pari: queste ultime, infatti, non hanno a che fare con i legacy system che regolano la tecnologia bancaria, ossia sistemi informatici obsoleti che, però, non è nemmeno così semplice sostituire e far migrare verso soluzioni più semplificate e condivisibili. Un matrimonio, quindi, che sembra non si possa celebrare stando così le cose ma è chiaro che se non intervengono investimenti seri e un cambio culturale radicale le cose sono destinate a non mutare. Un primo grande passo per avvicinare i due mondi potrebbe essere proprio una trasformazione endemica del vecchio mondo attraverso l’innesto di nuove competenze molto più orientate verso la trasformazione digitale.
Il banchiere 2.0
due autori insistono molto su questo aspetto ed evidenziano tale necessità partendo da una serie di dati che impongono i giusti interrogativi: secondo un approfondimento di Bloomberg, infatti, nel 2019 a livello globale le banche hanno annunciato 60.000 licenziamenti. Solo in Italia i due maggiori gruppi bancari hanno reso noto oltre 6.000 esuberi e la chiusura di 450 filiali. Cosa chi induce a pensare tutto ciò? La riflessione deve focalizzarsi su come si fa e si è banca e, soprattutto, su quali soft skills sia necessario fare leva per le risorse che ancora operano in tali settori. Il tutto è riassunto in una ricerca di Adecco e Startupitalia e quello che viene fuori è l’identikit del «banchiere 2.0» che deve possedere intelligenza emotiva, problem solving e flessibilità. Ma non basta.
La crisi Covid-19 ha cambiato il nostro approccio nel modo di lavorare forzandoci verso la digitalizzazione e un nuovo modo di comunicare e affrontare la giornata lavorativa privilegiando l’agilità e la velocità di esecuzione dei vari task. Tale modus operandi vale per tutti i settori specie per quelli che devono accontentare le richieste di una clientela che, a sua volta, si trova nella necessità di essere correttamente instradata verso una nuova modalità di interazione. Ecco, quindi, che si affaccia in maniera sempre più urgente la necessità di nuove skills che pongano il cliente al centro di tutte le sue operazioni attraverso un processo di reskilling (riqualificazione delle competenze) o di upskilling (accrescimento delle competenze). Un processo decisamente non indolore ma fondamentale che deve poggiare le basi su driver ben precisi:
- cultura
- prodotto
- tecnologia
- mindset
Non dimentichiamo che viviamo nell’era della disintermediazione e che tale aspetto coinvolge anche la finanza con soluzioni sempre più “democratiche” per chi ne ha bisogno quali il crowdfunding e la finanza decentralizzata. Non c’è più tempo per aspettare. Il cambiamento e già in atto oggi e premierà solo chi salirà a bordo del carro che porterà verso un futuro non così lontano e connotato per tutti dall’incertezza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA