Andrew Bailey, governatore della Bank of England, ha espresso le sue preoccupazioni in merito all’impatto della Brexit sull’economia britannica e alle più recenti evoluzioni della pandemia nel Regno Unito: i dettagli.
L’accordo sulla Brexit tra Regno Unito e Unione europea è stato celebrato come un successo da entrambe le parti, ed ha di fatto scongiurato l’imposizione di dazi - a partire da gennaio - sui beni importati.
La sintesi trovata da Londra e Bruxelles, tuttavia, presenta ancora delle zone grigie che costringeranno i negoziatori britannici ed europei a continuare il braccio di ferro sul tavolo delle trattative: su tutte, come noto, il capitolo relativo ai servizi finanziari, lasciato volutamente in sospeso per concludere l’accordo entro il termine del periodo di transizione.
Questo fattore, unitamente alle molteplici implicazioni del faldone Brexit, sta alimentando le preoccupazioni del governatore della Bank of England, Andrew Bailey, che nell’ultimo rapporto della banca centrale ha offerto ulteriori spunti in merito al probabile impatto sull’economia britannica del divorzio con l’UE.
Non contribuiscono a rasserenare gli animi nemmeno le evoluzioni sul fronte pandemico, con il Regno Unito ora costretto ad un terzo lockdown per frenare la diffusione record del virus: i dettagli.
La Brexit potrebbe costare il 4% del Pil al Regno Unito
La stretta di mano tra Londra e Bruxelles potrebbe costare all’economia britannica – nel lungo termine – quattro punti del Pil. Questo l’allarme lanciato dalla Bank of England, massima autorità inglese in ambito bancario, nella mattinata di oggi, giovedì 7 gennaio.
Ma tre le previsioni e la realtà, ha sottolineato il governatore della banca centrale, passa l’andamento della curva epidemiologica nel Paese, ora alle prese con la recrudescenza del virus: l’outlook di lungo termine sull’economia del Regno Unito dipende infatti dalla capacità delle autorità britanniche di frenare l’emergenza sanitaria in atto.
Fonte di preoccupazione, inoltre, lo stallo sui servizi finanziari, con l’Unione europea e il Regno Unito che non hanno trovato ancora un accordo sulla normativa che disciplinerà i derivati denominati in euro nella stagione post-Brexit.
In tal senso, l’UE attende di ricevere maggiori informazioni sulla futura regolamentazione finanziaria di Londra, ma il governatore della BoE – nel quadro della più ampia discussione sul processo di equivalenza delle regole europee e inglesi – ha esortato le autorità britanniche a non accettare un accordo “a qualunque prezzo”.
Più mite, invece, l’impatto della Brexit sul tasso di occupazione nel settore finanziario, con la Bank of England che ha ricordato come finora siano state solo 5.000 le posizioni trasferite verso l’Unione europea.
Preoccupa l’impatto della pandemia sulle vendite al dettaglio
Ragionamenti, questi, che si fondono inevitabilmente con l’evoluzione della pandemia in territorio britannico, dove una nuova variante del virus ha costretto Downing Street ad inasprire l’impianto delle restrizioni: quasi 61.000 i contagi nelle ultime ventiquattro ore, mentre il Paese è sprofondato per la terza volta nel girone dantesco del lockdown.
Un peggioramento della crisi sanitaria attribuibile, secondo gli osservatori, al graduale allentamento delle misure anti-Covid sul finire dell’anno e al generale rilassamento della popolazione sull’onda della distribuzione degli immunizzanti Pfizer e AstraZeneca.
Già a dicembre, secondo il rapporto della Bank of England, le vendite al dettaglio nel Regno Unito hanno rallentato: le aziende britanniche hanno infatti tracciato una perdita del 16,1% del loro volume di affari nel quarto trimestre, in rialzo rispetto alla quota rilevata nel mese di novembre (-15,3%).
I dati, raccolti dalla banca centrale nel periodo tra il 4 e il 18 dicembre su un campione di 2.933 aziende inglesi, rischiano ora di essere esposti al progressivo deterioramento della situazione sanitaria nel Paese, dove solo le attività considerate essenziali sono autorizzate all’apertura.
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