Nelle ultime ore il Governo inglese ha espresso ottimismo sulla conclusione delle trattative sulla Brexit entro fine anno, ma tre scogli lasciano aperto lo scenario di un “no deal”.
Il Governo inglese e la Commissione europea continuano a lavorare sul dossier Brexit, con l’intenzione di completare il processo di fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea in conformità con il risultato referendario del 2016.
Ad un mese esatto dalla fine dell’anno – come concordato dalle parti, il 31 dicembre è la data limite per raggiungere un accordo – i possibili esiti dei negoziati sull’asse Londra-Bruxelles rimangono due: una definizione chiara e puntuale dei rapporti commerciali post-Brexit o un’uscita disordinata del Regno Unito dall’Unione europea (no deal).
Quale orientamento prenderanno le trattative è ancora difficile da ipotizzare. Tre scogli continuano infatti a mantenere alta la tensione tra le parti, impedendo dunque di scongiurare l’esito inviso ai più: il mancato accordo.
3 scogli frenano i negoziati sulla Brexit
In quattro anni di negoziati sono stati molteplici i nodi che hanno portato le due parti a battagliare vigorosamente. Tra questi il backstop, soluzione elaborata dalla Commissione europea per evitare il ritorno di un confine rigido tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord.
Una storia di alti e bassi, quella delle trattative tra Londra e Bruxelles, sebbene i secondi siano stati ampiamente predominanti, visti anche i continui rinvii e le parole spesso ostili che Downing Street e la Commissione europea si sono scambiati dal 2016 ad oggi.
Il rush finale, ora, vede le parti scornarsi ancora un volta: in ballo i diritti di pesca, la concorrenza e la governance, questioni aperte la cui risoluzione - o meno - definirà i rapporti commerciali ed istituzionali tra Regno Unito ed Unione europea a partire dal prossimo anno.
1. Diritti di pesca
A circa trenta giorni dal termine del periodo di transizione, l’attenzione è focalizzata principalmente sui diritti di pesca. Secondo le regole che vigono attualmente nell’Unione europea, i pescherecci hanno accesso alle acque degli altri Paesi comunitari ad esclusione delle dodici miglia a ridosso delle coste.
In futuro – e con futuro intendiamo la fase post-Brexit, quando il Regno Unito avrà completato le pratiche per il divorzio da Bruxelles – il Governo inglese vorrebbe discutere annualmente le quote destinate ai pescherecci europei nelle 200 miglia di zona esclusiva britannica.
La determinazione di Londra sta incontrando però forti resistenze da parte di Bruxelles, con i vertici della Commissione europea che, temendo un forte impatto sulle flotte europee, vorrebbero mantenere le condizioni attuali.
Uno scoglio facilmente aggirabile? È possibile, ma c’è un ma. La pesca ha un impatto trascurabile sulle due economie, il che potrebbe indurre gli osservatori a puntare sul raggiungimento di un compromesso prima del gong. D’altra parte, il Governo inglese cercherà di trasformare la contesa sui diritti di pesca in un vantaggio negoziale.
2. Concorrenza
Ma a surriscaldare l’asse Londra-Bruxelles c’è anche la questione relativa alla concorrenza tra Regno Unito ed Unione europea nella stagione post-Brexit. La Commissione europea – che pure è pronta ad offrire un accordo commerciale privo di dazi doganali – vuole infatti impedire che gli inglesi concorrano slealmente a divorzio avvenuto.
Tra i punti salienti l’inquinamento, che Londra potrebbe sfruttare a suo vantaggio visti i rigidi standard imposti alle imprese europee. Per questo, l’Unione europea vorrebbe che il Regno Unito continuasse a giocare con le stesse regole, prevedendo inoltre una clausola evolutiva che aggiorni gli standard minimi con il passare del tempo.
Nello stesso calderone anche la questione degli aiuti di stato, con Londra e Bruxelles che potrebbero decidere di consultarsi periodicamente sui progetti di sovvenzione alle imprese nazionali (ma c’è lo spettro dei dazi doganali se i toni dovessero scaldarsi in futuro).
3. Governance
Per ultimo, la governance. E, più precisamente, i meccanismi da utilizzare in caso di controversie. Per l’Unione europea è infatti essenziale che l’accordo tra le parti venga blindato legalmente, così da tutelarsi in caso di condotta sleale o impropria del Regno Unito.
In tal senso Londra e Bruxelles starebbero ragionando sull’istituzione di un tribunale arbitrale per le violazioni dell’accordo, con l’Unione europea che si ritroverebbe a dover rinunciare ad un ruolo attivo della Corte di giustizia europea.
Downing Street, infatti, intende tutelare quella sovranità nazionale così faticosamente conquistata con il referendum del 2016: su questo punto gli inglesi non intendono cedere di un passo.
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