Calcolo permessi: quanti giorni spettano e come controllarli

Claudio Garau

15/09/2021

Il calcolo permessi dei lavoratori dipendenti segue specifiche regole rintracciabili nel proprio CCNL. Come verificare l’esattezza dei dati sui permessi?

Calcolo permessi: quanti giorni spettano e come controllarli

Spesso su queste pagine ci siamo occupati delle ferie del lavoratore - oggetto di un diritto garantito in Costituzione - ma altresì meritano di seguito di essere considerati i cosiddetti permessi, onde capire di fatto in che cosa consistono e quali regole debbono essere applicate per il calcolo.

Solitamente i contratti collettivi prevedono il diritto del dipendente a fruire di alcune ore di permesso in aggiunta alle ferie annuali, previste dalla legge e, come accennato, dalla stessa Costituzione.

I permessi retribuiti sono da intendersi come un’istituzione ben diversa dalle ferie, istituto giuslavoristico che è rappresentato dal diritto di ogni lavoratore di avere a disposizione più giorni in cui assentarsi dal lavoro senza perdere il posto né la retribuzione.

Anticipiamo che sia i lavoratori a tempo pieno che quelli in regime di part time hanno diritto ai permessi, da domandare - in ipotesi di esigenza - al proprio datore di lavoro. In comune con le ferie, i permessi hanno che sono dei periodi di assenza dal luogo di lavoro, retribuiti in busta paga: infatti, la legge lo impone all’azienda o al datore di lavoro.

Ecco di seguito tutte le informazioni rilevanti circa il calcolo permessi: quanti giorni spettano e come controllarli. D’altronde, quella di dover chiedere qualche ora di permesso costituisce una necessità che prima o poi capita a tutti i lavoratori.

I permessi del lavoratore: che cosa sono?

Il permesso è rappresentato da un’assenza dal lavoro, generalmente di durata esigua, riconosciuta dalla legge o dal contratto collettivo, che per specifici motivi viene applicato su base oraria.

Di fatto, i permessi di lavoro retribuiti sono lassi di tempo in cui il dipendente può astenersi dall’obbligo della prestazione lavorativa, mantenendo però:

  • il posto di lavoro;
  • l’ordinaria retribuzione prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL);
  • il riconoscimento dell’anzianità di servizio.

È importante non dimenticare che per avere ben chiare le regole e le modalità di utilizzo dei permessi, serve fare riferimento a due distinte fonti di diritto del lavoro:

  • le leggi;
  • i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).

I permessi retribuiti previsti e disciplinati dalle regole di legge sono validi per tutte le categorie di lavoratori, pubblici e privati. Soprattutto, nessun CCNL può cancellarle o disapplicarle. Ma attenzione: i singoli comparti possono regolare la materia in modi diversi, esclusivamente però prevedendo dei trattamenti di maggior favore verso i lavoratori subordinati.

Chi può richiedere i permessi?

La generalità dei lavoratori subordinati possono richiedere i permessi retribuiti all’azienda, che può assegnarli previo accordo con il dipendente stesso. Questi infatti potrebbe essere impossibilitati a recarsi al lavoro, per esigenze specifiche e prioritarie.

Per conoscere nel dettaglio le norme sui permessi retribuiti spettanti, il lavoratore dovrà leggere con attenzione il proprio CCNL nella parte relativa ai permessi, al fine d’inquadrare in modo preciso la propria situazione.

Inoltre, sono spesso gli stessi CCNL a segnalare anche il preavviso per la richiesta dei permessi: insomma, è assolutamente consigliato controllare attentamente anche questa dicitura sul proprio contratto collettivo, onde non farsi trovare impreparati nella circostanza.

In linea generale, possiamo affermare che nei contratti dei lavoratori subordinati sussistono, di solito, due tipologie di permessi retribuiti distinte, entrambi indicati indicati in busta paga:

Vi sono anche - sia per i lavoratori del comparto sia privato che pubblico - delle specifiche tipologie di permessi retribuiti assegnati per necessità particolari, come:

Ma per completezza dobbiamo altresì ricordare che le norme vigenti contemplano anche i permessi non retribuiti, i quali danno al lavoratore dipendente la facoltà di assentarsi dal lavoro per uno spazio di tempo ristretto e per un giustificato motivo, ma di fatto senza intascare lo stipendio per le ore di assenza: ci riferiamo ad es. all’ipotesi del congedo per la malattia del figlio.

Calcolo permessi: come funziona?

Proprio come nel caso delle ferie, le ore di permesso maturano nel corso del tempo in ratei mensili. Inoltre al pari delle ferie, i permessi retribuiti maturano, fin dalla data di assunzione, nell’ambito del rapporto di lavoro in essere.

Per quanto attiene al meccanismo di calcolo dei permessi del lavoratore, occorre far espresso riferimento a quanto disposto nel CCNL di categoria. In detto documento sono incluse le ore di permesso (retribuito) che ciascun lavoratore potrà richiedere nel corso dell’anno.

Per calcolare i giorni di permesso maturati per ciascun mese - ossia i suddetti ratei - sarà necessario dividere il numero di ore previsto dal contratto di categoria per 12.

Regola di riferimento è che nelle aziende con un numero inferiore ai 15 dipendenti sono assegnate 88 ore di permessi; invece in quelle con più di 15 dipendenti ne sono assegnate 104 nell’arco dei dodici mesi.

Permessi: come controllare il saldo?

È chiaro che al lavoratore, esattamente come per le ferie, interesserà sapere come controllare il saldo, onde verificare la presenza di eventuali inesattezze e segnalarle prontamente.

Ebbene, occorre sapere che oggi la maggior parte dei software per l’elaborazione delle paghe - usati da aziende e datori di lavoro - prevede che il documento della busta paga includa, in basso a sinistra, uno spazio ad hoc, in cui è indicata la situazione delle ferie e dei permessi.

In modo molto agevole, il lavoratore subordinato potrà dunque verificare quante ore di permesso ha maturato; quante sono state fruite e qual è il saldo.

I permessi non goduti possono essere monetizzati?

Concludendo, ci si potrebbe domandare se i permessi non goduti possono essere retribuiti in busta paga. Ebbene, la risposta è positiva: i permessi sono monetizzabili, ossia trasformabili in retribuzione in base al calcolo delle ore di cui non si è fruito.

Anzi, il dipendente non può mai perdere il diritto ai permessi retribuiti. Se questi non vengono sfruttati entro il termine massimo previsto dal CCNL di categoria, il datore di lavoro dovrà sempre monetizzarli in denaro, versando al dipendente una somma corrispondente alla retribuzione che gli sarebbe spettata per le ore di permesso non fruite.

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