Chi è davvero il paziente uno in Italia? Le nuove scoperte sul primo contagiato

Martino Grassi

30/03/2020

Secondo una nuova inchiesta il ’paziente uno’ in Italia potrebbe essere un anziano ricoverato a Piacenza, risultato positivo al coronavirus già a gennaio, prima che venisse scoperto il primo caso a Codogno.

Chi è davvero il paziente uno in Italia? Le nuove scoperte sul primo contagiato

Il paziente uno in Italia potrebbe non essere Mattia, il 38enne Codogno ricoverato il 19 febbraio. Secondo l’inchiesta di Report, in onda su Rai3 lunedì 30 marzo, potrebbe esserci stato un altro paziente con coronavirus a gennaio, molto prima che venisse diagnosticato il primo caso ufficiale di COVID-19 nel nostro paese.

La notizia è stata fatta trapelare da una radiologa della clinica appartenente al gruppo Sanna, dove attualmente, dei 250 operatori sanitari assunti, 150 si trovano in malattia e molto di loro si erano ammalati già prima della diffusione del virus a Codogno.

Ciò che rende sospetta tutta la vicenda è il fatto che non sia stato dato nessun allarme nonostante già da fine dicembre vi fossero diversi casi di polmoniti virulente e particolarmente resistenti alle cure.

Diversi medici accusavano i sintomi già durante gli stessi giorni della diagnosi nel primo focolaio d’Italia, uno di loro, un chirurgo, ha continuato ad operare fino al 12 febbraio, scoprendo la sua positività 10 giorni dopo a Tenerife, mentre un altro paziente è risultato positivo il 17 febbraio.

Chi è il paziente uno in Italia

Il primo paziente affetto da coronavirus in Italia sembrerebbe essere un anziano ricoverato in una clinica privata in provincia di Piacenza nel mese di gennaio, molto prima che venisse riconosciuto il primo caso di coronavirus a Codogno (Lodi).

L’uomo era stato trasportato dal personale del 118 che indossava le tute da biocontenimento; pochi giorni dopo è morto e secondo i test era positivo al coronavirus.

Il ministero della Salute invia una circolare il 22 gennaio in cui fornisce due specifiche indicazioni:

  • cercare nei pazienti sospetti un possibile collegamento con la Cina;
  • segnalare i casi di polmonite particolarmente resistenti alle cure.

Il secondo punto viene eliminato in una successiva circolare inviata cinque giorni dopo, per apparire di nuovo in una comunicazione inviata il 9 marzo. Probabilmente se anche il secondo punto fosse stato preso in considerazione da subito il diffondersi del virus poteva essere limitato

Un ulteriore fattore che segnala una massiccia diffusione del virus è l’anzianità del piano nazionale contro le pandemie, aggiornato l’ultima volta dieci anni fa. Sarebbe dovuto essere rivisto ogni tre anni, come raccomandato dall’OMS in modo tale da non lasciare impreparato il Paese a fronteggiare un’emergenza sanitaria.

L’Italia era impreparata a fronteggiare il virus

L’Italia, e la macchina della burocrazia, non hanno permesso una rapida risposta all’incremento della polmonite nella prima zona rossa del Paese. Secondo gli esperti sarebbero dovuto essere predisposti da subito i dispositivi di prevenzione, i farmaci antivirali e i kit diagnostici, ma la risposta da parte dello Stato e delle autorità ha tardato ad arrivare.

Ancora oggi, per alcuni, il Governo, nonostante i vari elogi dell’OMS nei confronti della gestione della diffusione del coronavirus in Italia, non sta reagendo in modo propositivo all’emergenza. L’esponente della Lega, Paolo Tiramani tuona contro il Governo sostenendo che:

“Invece di agevolare gli imprenditori pretende il normale pagamento anticipato dell’Iva applicando un onere del 6,3% sulla maggior parte dei dispositivi. Le imprese non solo devono sostituirsi allo Stato nel reperire le mascherine da destinare alle amministrazioni locali, ma devono anche scontrarsi con dogane che non agevolano il rilascio rapido del materiale, dispositivi che hanno costi gonfiati e corrieri espressi che applicano importi per le importazioni aeree fino al 30% del valore della merce”.

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