Le coperture dai ribassi sull’Hang Seng sono ai minimi da 20 anni, sintomo che Pechino sta per stimolare. E gli Usa, affondati da vendite al dettaglio dopate, si mettono a dieta prima dell’abbuffata
Formalmente dovrebbe regnare il panico. Ovviamente, la guerra funziona egregiamente da distrazione di massa. Quantomeno per le opinioni pubbliche. Ma il peggior tonfo da due anni a questa parte per il Dow Jones e il collettivo bagno di sangue registrato ieri da Wall Street forse non sono del tutto ascrivibili alla categoria delle cattive notizie. Non in toto, quantomeno.
Ovviamente, le criticità ci sono tutte. Inflazione in testa. Ma giova ricordare come, al netto dell’ipocrisia, manipolazione e leverage siano state presenti con ottime rappresentanze anche durante i rallies. Anzi, soprattutto durante i glory days dello stimolo infinito. Insomma, non siamo passati dal Nirvana macro alla recessione più nera senza soluzione di continuità. Ciò che è cambiato è il timing. E la Fed ha un obiettivo. O, quantomeno, la Casa Bianca gliene ha imposto uno. Per l’esattezza, questo:
creare i prodromi per un déjà vu del 2008 per lo Standard&Poor’s in vista del voto di mid-term di novembre. E stando alle dinamiche dei corsi da inizio anno, finora la postura da falco monetario della Banca centrale Usa sta compiendo egregiamente la sua missione. Per quanto Jerome Powell lascerà che la storia si ripeta? O, forse meglio, per quanto Joe Biden lascerò che Jerome Powell consenta questa camminata sul viale dei ricordi delle equities? In realtà, è molto probabile che i due stiano lavorando già di comune accordo. Non a caso, nel presentare la sua task force contro l’inflazione, il presidente ha tenuto a ribadire la non interferenza con l’azione della Fed, istituzione assolutamente indipendente. Praticamente, la conferma di un’eterodirezione elettorale conclamata.
E se a scatenare l’inferno del mercoledì nero sono state formalmente le performance da incubo inanellate in tre giorni da Target e Walmart, rispettivamente a -29% e -17% e la dichiarazione del Cfo della Disney rispetto a un’ormai inevitabile e ufficiale prospettiva di crollo della spesa pro capite nei parchi divertimenti in vista della stagione estiva, ecco questo altro grafico
mostra il vero booster della sell-off: una volta ponderato all’inflazione, il dato delle vendite al dettaglio Usa è letteralmente crollato. Insomma, hit the wall. Tolto il rossetto dal maiale, quest’ultimo si mostra tale. Un bel problema. Perché alla luce di tutto questo, l’unica certezza che pare stagliarsi all’orizzonte del mercato è quella di un’inflazione feroce e perdurante, destinata quindi a bloccare ogni tentazione verso politiche espansive che sorreggano ancora le equities in caduta libera.
Proprio sicuri? Come già mostrato da altri indicatori, non ultimo il tonfo senza precedenti della produzione industriale, la Cina sta cominciando a mostrare segnali di insofferenza e fretta nel riattivare la macchina dello stimolo. Forte di un freno delle restrizioni da Covid che hanno impattato pesantemente su tutte le dinamiche, Pechino infatti gode di due vantaggi rispetto a Washington. Primo, appunto una formale necessità di somministrare un potente ricostituente a un’economia che sta uscendo dall’ennesimo, draconiano lockdown. Secondo, un carattere di autocrazia che può permettersi il lusso di evitare pantomime rispetto all’indipendenza della Banca centrale: se Xi Jinping ordina, la Pboc dispone.
E questo grafico
ci mostra come l’open interest della put/call ratio sull’indice Hang Seng sia oggi ai minimi da due decadi, sceso in tandem proprio con il suo inabissarsi. Tradotto, chi investe in Cina sta rimuovendo - anzi, ha già rimosso - tutti gli strumenti di copertura da rischi ribassisti. E ha operato in tal senso nel pieno dei tonfi. Addio hedges, è ora di tornare a iniettare liquidità e far correre indici ed economia. Qualcuno scommette che Pechino stia per scatenare l’inferno. E Wall Street sta solo purgandosi dagli eccessi passati, pronta a godere del nuovo banchetto da Qe dopo qualche settimana ancora di dieta estrema. Perché se il Qe cinese raffredderà di riflesso l’inflazione interna Usa, il pericolo ormai incombente di recessione garantirà alla Fed mano libera a sua volta. Giusto in tempo per il mid-term.
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