Colf, badanti e baby sitter: come farsi assumere adesso che i voucher sono stati aboliti?

Simone Micocci

22/03/2017

Con la cancellazione dei voucher si ripropone il problema di come pagare il lavoro di colf, badanti e baby sitter. Ecco quali sono, ad oggi, i metodi possibili per metterle in regola.

Colf, badanti e baby sitter: come farsi assumere adesso che i voucher sono stati aboliti?

Come pagare colf e badanti senza voucher?

Come ben noto, il Governo ha deciso di cancellare definitivamente i voucher per evitare il referendum promosso dalla Cgil ed è per questo che adesso si ripropone il problema su come pagare i lavori accessori, come ad esempio quello di colf, badanti e baby sitter. I voucher saranno utilizzabili fino al 31 dicembre 2017, e nel frattempo il Governo sta pensando a misure alternative come i Mini Jobs, ma ad oggi non c’è ancora uno strumento che sia veloce e allo stesso tempo conveniente per regolarizzare il lavoro delle colf e di tutte le collaboratrici domestiche.

Ecco perché nei prossimi mesi si preannuncia un aumento del fenomeno delle assunzioni in nero che in questo settore, così come in quello delle ripetizioni scolastiche, è molto frequente.

Mettere in regola una colf, una badante, o una baby sitter, però, è possibile e ci sono diversi modi, anche se meno convenienti dei voucher lavoro, per farlo. Ecco nel dettaglio quali sono i modi possibili.

Lavoro intermittente

Per regolarizzare una collaboratrice domestica le si può far firmare un contratto di lavoro intermittente, conosciuto anche come contratto a chiamata. In questo caso il lavoratore dichiara di essere disponibile a svolgere una determinata prestazione per determinati giorni l’anno.

L’unico vincolo è quello per cui le giornate di lavoro non devono essere superiori a 400 in tre anni. Entro questo limite, il datore di lavoro può richiedere la prestazione lavorativa quando ne ha la necessità.

I contratti a chiamata si distinguono in due tipologie:

  • la prima è quella dove il lavoratore ha l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro. In questo caso, però, al dipendente spetta un’indennità di reperibilità nei periodi in cui è obbligato a dare la sua disponibilità;
  • nel secondo caso il dipendente è libero di non rispondere e di conseguenza il rapporto contrattuale si instaura solo al momento in cui accetta la chiamata del datore di lavoro.

Bisogna precisare però che nel caso di un contratto a chiamata il lavoratore non è titolare dei diritti riconosciuti al lavoratore nel periodo in cui non è impiegato.

Inoltre, il contratto di lavoro a chiamata può essere a tempo indeterminato o a termine ed un lavoratore può stipulare:

  • o più contratti di lavoro intermittente con differenti datori di lavoro;
  • un contratto intermittente insieme ad altre tipologie contrattuali, ma solo se i vari impegni lavorativi non risultino in contrasto tra loro.

Un altro vincolo, da non sottovalutare, è quello che permette di sottoscrivere un contratto a chiamata solamente per chi ha meno di 25 anni e da chi ne ha più di 55.

Per tutte le altre informazioni su come attivare un contratto di lavoro a chiamata vi consigliamo di leggere la nostra guida di approfondimento- Contratto a chiamata 2017: cos’è e come funziona il lavoro intermittente?

Contratto a tempo determinato o part-time

Per chi ha bisogno di assumere una domestica solamente per un determinato periodo dell’anno, come ad esempio nei mesi estivi, può utilizzare il contratto a tempo determinato. In questo caso la domestica è titolare di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori dipendenti, comprese ferie e permessi, fino alla scadenza del contratto stabilita al momento della stipula dello stesso.

Lo stesso discorso vale per chi ha bisogno di una domestica solo per determinate ore della giornata e per questo decide di farle firmare un contratto a part-time.

Anche in questo caso infatti non ci sono differenze, tranne che per le ore di lavoro, rispetto ad un normale contratto di lavoro subordinato. Quindi, anche se quello di far firmare un contratto a tempo determinato, o part-time, può sembrare il metodo più semplice e veloce per regolarizzare una collaboratrice domestica è senza dubbio anche quello più dispendioso per il datore di lavoro, sia a livello di costi che di adempimenti.

Co.co.co.

Un altro modo, che negli ultimi anni vista la presenza dei voucher è stato molto meno utilizzato, è quello della collaborazione esterna, conosciuta meglio con il nome di collaborazione coordinata e continuativa (“Co.co.co.”).

In questo caso il lavoratore si impegna a svolgere in via continuativa una prestazione, che deve essere “prevalentemente personale”, ad un committente.

Per il Co.co.co. però viene meno il vincolo di subordinazione, poiché la prestazione lavorativa avviene in coordinamento con il datore di lavoro. La stipula di un contratto Co.co.co. deve essere comunicata tempestivamente ai Servizi per l’impiego competente, mentre la retribuzione per la prestazione è commisurata alla quantità e alla qualità del tempo impiegata.

Dall’introduzione del Jobs Act in avanti, tuttavia, non è più possibile stipulare i vecchi contratti di collaborazione ma occorre utilizzare i contratti con ricevuta di prestazione occasionale.

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