Coronavirus: perché molte pandemie nascono in Asia o in Africa

Fiammetta Rubini

23/03/2020

Esplosione demografica, deforestazione, mercati di animali vivi ma non solo: un virologo ha spiegato perché molte pandemie nascono in Asia o in Africa, e perché non è così assurdo aspettarsi il peggio.

Le epidemie e le pandemie fanno parte della vita sulla Terra da sempre, ma negli ultimi 20 anni si è ristretto il lasso di tempo tra lo scoppio di un focolaio e l’altro. Secondo quanto affermato da Suresh V Kuchipudi, virologo e direttore dell’Animal Diagnostic Laboratory della Penn State University e studioso di virus zoonotici (quelli come il Covid-19 che saltano dagli animali all’uomo), la maggior parte delle recenti pandemia ha almeno una cosa in comune: iniziano il loro percorso mortale in Asia o in Africa. L’esperto ha anche spiegato il perché, avvisandoci che le cose potrebbero andare peggio.

Coronavirus: perché molte pandemie nascono in Cina

In un articolo pubblicato su The Conversation il 4 marzo 2020, l’esperto prova a dare una spiegazione scientifica al perché il nuovo coronavirus ha avuto origine in Cina, così come la SARS nel 2002.

La prima ragione, spiega, è l’esplosione demografica: in Asia e nelle regioni del Pacifico vive il 60% della popolazione mondiale. Secondo i dati della Banca mondiale, quasi 200 milioni di persone si sono trasferite nelle zone urbane dell’Asia orientale nei primi 10 anni del 21° secolo. Una migrazione su questa scala significa che ampi terreni forestali sono stati distrutti per creare aree residenziali. Allo stesso tempo gli animali selvatici, costretti ad avvicinarsi alle città, sono entrati in contatto con animali domestici e con l’uomo. E sono proprio gli animali selvatici a ospitare, molto spesso, i virus. I pipistrelli, ad esempio, possono trasportarne centinaia; i virus, saltando di specie in specie, alla fine attaccano l’uomo.

La deforestazione, l’urbanizzazione sfrenata e la perdita di habitat portano, alla fine, alla scomparsa degli animali predatori, compresi quelli che si nutrono di roditori. Come rivelato anche in uno studio su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA), anche in Africa la perdita di biodiversità e l’estinzione di animali di grandi dimensioni aumenta la presenza dei roditori e delle malattie da loro trasmesse. I roditori, scrivono i ricercatori, sono comuni ospiti del serbatoio per molti patogeni zoonotici umani (malattia di Lyme, sindrome polmonare hantavirus HPS, peste, bartonellosi). E la situazione potrebbe peggiorare: una grande parte della popolazione dell’Asia orientale vive ancora in zone rurali e il processo di urbanizzazione può continuare per decenni.

Un’altra ragione risiede nel fatto che il sistema agricolo tradizionale in Africa e Asia non aiuta. In entrambi i continenti molte famiglie dipendono dall’agricoltura di sussistenza e in piccola parte dal bestiame. Qui il controllo delle malattie e le condizioni degli alloggi per gli animali sono estremamente limitati: bovini, galline e suini, possibili portatori di malattie endemiche, possono facilmente contagiarsi a vicenda e portare i virus anche all’uomo.

Ma non è solo un problema di fattorie. Anche i mercati di animali vivi, molto comuni in Asia, giocano un ruolo chiave nel modo in cui un agente patogeno letale può avere origine e diffondersi tra le specie. Colpa anche della medicina tradizionale cinese, che fornisce una serie di prodotti e rimedi a problemi e malattie, usa parti di animali selvatici negli intrugli somministrati ai pazienti. Anche questo contribuisce in modo determinante all’aumento delle interazioni uomo-animale.

I virus continuano a evolversi

I virus continueranno a evolversi ed è solo questione di tempo prima che si verifichi un altro grave scoppio di epidemia in questa regione del mondo, scrive il dott. Kuchipudi.

È difficile prevedere con precisione quale catena di eventi causi una pandemia, ma come ha dimostrato l’attuale pandemia di coronavirus Covid-19, una malattia infettiva che inizia in una parte del mondo può diffondersi a livello globale praticamente in pochissimo tempo. “Questi rischi possono essere mitigati solo sviluppando strategie di conservazione per limitare i danni ecologici, prevenire la deforestazione e ridurre le interazioni animale-uomo. E un sistema globale di sorveglianza globale per monitorare l’emergere di queste malattie - ora scomparse - sarebbe uno strumento indispensabile per aiutarci a combattere queste epidemie mortali e terrificanti”.

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