Il value investing è una delle più vecche strategie di investimento che, dopo un decennio di crisi, sta ritrovando l’apprezzamento degli investitori.
Il value investing è una delle strategie di investimento più famose, antiche e di maggior successo della storia.
Le basi di questa strategia, sebbene presenti da sempre, furono presentate e formalizzate da Benjamin Graham e dal suo collega David Dodd negli anni di insegnamento alla Columbia University a partire dal 1928. Queste basi furono poi ricapitolate nel loro testo «Security Analysis» del 1934.
Vediamo di conoscere meglio questo stile di investimento e il suo fondatore.
Le origini del value investing
Benjamin Graham, dopo aver lavorato alcuni anni a Wall Street, fondò nel 1926 una partnership di investimento - l’equivalente degli attuali hedge fund, pur senza le moderne tecnologie a supporto.
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La gestione di Graham registrò una performance annua composta del 17% circa. Un risultato straordinario se si pensa che in mezzo ci fu la Grande Depressione che falcidiò gran parte delle altre partnership.
Lo stile di Graham prevedeva l’acquisto di titoli fortemente sottovalutati in base alle proprietà possedute (impianti, macchinari, ecc.) e le disponibilità sotto forma di merci, crediti e liquidità. Altro aspetto considerato da Graham era il basso prezzo confrontato con gli utili realizzati e i dividendi pagati.
L’ambiente era molto favorevole per questa strategia. Dopo il crollo del ’29, molti investitori non volevano avere più nulla a che fare con la Borsa. Quindi molti titoli di Wall Street venivano scambiati a prezzi a volte persino inferiori ai crediti e alle disponibilità bancarie. In pratica, anche solo «svendendo» merci, fabbriche e macchinari si otteneva un valore a volte persino doppio del prezzo di Borsa.
Anche la successiva normalizzazione, comunque, non penalizzò molto lo stile di investimento. Graham, invece di concentrarsi sul «valore di liquidazione» o «valore patrimoniale», si concentrò sulla capacità di produrre profitti non ancora prezzata dal mercato.
La base dello stile era però sempre la stessa, cioè pagare un prezzo basso rispetto al «valore intrinseco» senza troppe speculazioni sul futuro. Questo basso prezzo pagato avrebbe garantito anche nel peggiore dei casi un adeguato «margine di sicurezza».
Questo approccio divenne via via più difficile nel successivo boom degli anni ’50 e ’60, quando trovare titoli così sottovalutati divenne più raro e la qualità degli analisti e dell’informazione finanziaria si era notevolmente alzata.
Graham alla fine degli anni ’60 arrivò persino a dire che «scovare il valore nascosto» era quasi un esercizio che non pagava più e suggeriva «all’investitore intelligente» di diversificare tra un gruppo di titoli primari e portare a casa il rendimento di mercato. Una sorta di «index investing» in anticipo di qualche decennio.
Graham, però, nei suoi anni alla Columbia formò anche diversi analisti. Molti di loro portarono avanti la sua filosofia anche negli anni seguenti e alcuni superarono persino il maestro. Tra questi, il numero uno è sicuramente Warren Buffett.
Il value investing diventa popolare grazie a Warren Buffett
Warren Buffett è il più grande investitore della storia. Con lui lo stile di investimento imparato da Graham venne ulteriormente sviluppato.
Sebbene nei primi anni di carriera anche Buffett si concentrò sui titoli con un buon rapporto tra valore di Borsa e valore tangibile degli asset, nel tempo iniziò a cambiare focus, venendo a mancare, come già detto, le occasioni del primo tipo.
I successi maggiori di Buffett furono titoli che hanno presentato nel tempo un buon tasso di crescita dei profitti, capace di trainare progressivamente il prezzo di Borsa. Quindi l’attenzione non era solo il basso prezzo, ma anche le buone prospettive.
Il motto di Buffett può riassumersi così: «È meglio pagare un prezzo congruo per un’azienda eccezionale piuttosto che un basso prezzo per un’azienda pessima».
Tuttavia, gli insegnamenti di Graham erano più che mai presenti. Secondo Buffett, infatti, non bisogna mai pagare un prezzo elevatissimo nella prospettiva di un futuro stellare. Inoltre, l’attenzione era sempre per società con business semplici, facilmente comprensibili e prevedibili.
Non è un caso che fino agli anni recenti raramente Buffett si sia cimentato con le aziende tecnologiche, mentre i suoi maggiori successi siano stati aziende bancarie, assicurative, dei beni di consumo e dei beni industriali semplici.
Con Buffett, il value investing è diventato popolare. Se le tecniche di Graham erano al tempo piuttosto «oscure» e poco note alla massa (e questo fu per lui anche un vantaggio), di Buffett si è scritto e si è letto di tutto.
Grazie ai suoi successi (e a quelli degli altri discepoli di Graham), sono proliferati fondi di investimento e fondi hedge che hanno applicato tecniche di value investing.
Cos’è e come funziona il value investing
Sebbene ogni discepolo di Graham abbia seguito una propria strada e una propria strategia e sebbene lo stesso faccia ogni fondo di investimento che si definisce «value», alcune linee generali possono essere delineate.
Lo stile «value» prevede di selezionare titoli che abbiano avuto performance piuttosto deludenti nel recente passato, ma il cui business non è così disastrato.
Si tratta quindi di società che, per via dei cali recenti, presentano oggi un prezzo molto basso in base a profitti, dividendi o valori contabili. Le misure su cui ci si concentra sono quelle del Prezzo/utili, Prezzo/patrimonio netto, dividendo/prezzo e altre simili.
L’idea di base è che queste occasioni si creino per via di notizie sfavorevoli, attese negative, industrie o aziende finite «fuori moda» o altre situazioni simili. Quando il mercato si accorgerà di aver ecceduto nel penalizzare queste aziende, i prezzi rapidamente si adegueranno al vero valore. Il tutto cercando di avere sempre un adeguato margine di sicurezza e con l’accortezza di evitare le «value-trap», cioè aziende con prezzi bassi per buoni e giusti motivi.
Inutile dire che, nella versione più pura, il value investing non prende minimamente in considerazione grafici, trend e analisi tecnica. Tutto si basa sulla conoscenza e lo studio delle singole aziende.
La crisi del value investing e il suo ritorno
Il value investing è stato molto popolare e per gran parte del tempo da Graham in poi ha offerto risultati superiore alla media di mercato. Persino i sostenitori dei mercati efficienti, che affermano sia impossibile ottenere guadagni in eccesso duraturi per il fatto che i prezzi scontano già tutto, hanno dovuto ammettere l’esistenza di una sorta di «value factor».
Tuttavia, nell’ultimo decennio le cose sono radicalmente cambiate. Negli ultimi dieci anni il value ha fatto peggio della media e molto peggio dei titoli growth/momentum.
Ad esempio, l’MSCI World Value Index ha registrato negli ultimi 10 anni un risultato del +7,94%, contro un +10,50% dell’MSCI World generale e un +14% dell’MSCI World Momentum.
Gli investitori si sono interessati meno alle differenze tra prezzo e valore, fondamento del value investing, preferendo mettere i loro soldi sui titoli in crescita e su cui si prevede un futuro fortemente positivo, a prescindere dai multipli spesso molto alti. In particolare, i titoli preferiti sono stati quelli tecnologici.
Persino Buffett ha iniziato a comprare Apple (oggi il titolo principale del suo gruppo) e ha investito in una società cinese di veicoli elettrici
È la fine del value investing?
Forse, ma già qualcosa sta cambiando. Da dicembre ad oggi, ad esempio, l’S&P500 ha registrato un +10% circa, mentre gli ETF momentum USA un +8% e gli ETF value USA circa +20%.
Insomma, questa brutta performance decennale potrebbe essere giunta alla fine e il value potrebbe tornare di nuovo di moda, soprattutto se i compratori compreranno meno sull’onda dell’entusiasmo e torneranno di più a guardare i fondamentali.
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