Una crisi dalle origini remote, degenerata in deflazione per politiche economiche anacronistiche e per la mancanza di interventi a favore delle pmi.
Stefano Fugazzi si è laureato in Business Studies nel 2003 a Dublino e ha conseguito, nell’anno seguente, un Master in Strategic Management presso The Michael Smurfit Graduate School of Business (University College Dublin). Nel 2011 ha frequentato un corso intensivo in News Journalism presso la London School of Journalism.
Dal 2005 Stefano Fugazzi lavora nell’area finance & regulatory. All’attività professionale ha unito quella divulgativa, coordinando nel 2009 una serie di eventi presso la London Metropolitan University dove ha curato, tra l’altro, la presentazione del seminario Economic downturn and society, dedicato alla crisi dei mutui subprime. Nel gennaio 2014 ha co-organizzato un seminario alla London School of Economics sull’uscita dall’Euro.
Dal 2012 collabora con Investire Oggi, portale online dedicato all’informazione economica e finanziaria, in cui si occupa in particolare di argomenti quali il debito pubblico e la crescita economica. Nel 2013 ha pubblicato il suo primo saggio di economia: Idee per l’Italia: Abbattere il debito pubblico per restituire allo Stato la sovranità in politica economica mentre il 16 luglio scorso ha visto la luce il suo secondo libro: A.B.C. Italia (Abbiamo Bisogno di Crescita), edito dal portale di analisi e ricerca ABC Economics, con prefazione di Antonio Maria Rinaldi e postfazione di Luigi Patisso.
Buon giorno e grazie per il tempo che ha deciso di dedicarci.
L’estate italiana è stata irrimediabilmente segnata da un -0,2% nel PIL del secondo trimestre dell’anno in corso che ha ufficializzato una fase di recessione. Limitatamente al nostro Paese, quali sono, a suo modo di vedere, le cause del perdurare della crisi iniziata nel 2007 e di un declino economico che ha radici ben più lontane?
La crisi che sta mettendo a ferro e fuoco il nostro Paese ha, in realtà, origini antiche sebbene abbia iniziato a manifestarsi in maniera evidente successivamente allo scoppio, negli Stati Uniti, della cosiddetta “bolla dei mutui subprime”. A mio modo di vedere, due sono le componenti alla base del declino italiano. Ci sono alcune variabili che possiamo chiamare “endogene”, ossia quelle specifiche o particolari all’Italia, elementi che ci siamo trascinati dietro per decenni e quindi antecedenti all’introduzione dell’Euro. Tra queste: l’eccessiva pressione fiscale che grava su cittadini, aziende e lavoro ma anche la burocrazia e il fatto di avere un’allocazione della spesa pubblica che andrebbe rivista, o meglio, ridistribuita diversamente tra i vari centri di costo. Vi sono poi le variabili esogene e nello specifico gli errori di politica economica e monetaria perpetuati a livello europeo e approvati senza battere ciglio dagli Stati Membri dell’Eurozona, Italia inclusa.
Perché l’introduzione di una politica monetaria unica ha peggiorato la situazione economica italiana?
Il motivo in sé è abbastanza intuitivo: lo Stato italiano si è privato della politica valutaria, ossia della capacità di reagire a uno shock esterno con la fluttuazione del tasso di cambio. Così facendo l’Italia, come del resto tutti i Paesi che hanno aderito alla moneta unica, ha dovuto reagire alla crisi adottando politiche economiche restrittive che non solo non hanno sortito gli effetti desiderati, ma hanno anche ulteriormente depresso la domanda interna, determinando dapprima la crescita dell’indebitamento privato e in seconda istanza di quello pubblico; dinamiche che, in ultima analisi, ci hanno spinto in disinflazione o, peggio ancora, in deflazione.
Dal punto di vista politico, è invocata su più fronti (non solo quello italiano ma, più recentemente, anche quello francese) una revisione delle politiche economiche comunitarie. La flessibilità nei vincoli di bilancio, in cambio della reale attuazione di riforme, e un ipotetico allentamento del Fiscal Compact possono ritenersi dei buoni antidoti contro la crisi?
Sicuramente una maggior flessibilità dei vincoli di bilancio potrebbe consentire ai policy maker domestici di mettere in atto politiche economiche meno restrittive e idealmente volte a superare l’attuale congiuntura economica. Sono, tuttavia, dell’avviso che siano necessarie azioni più incisive. Mi spiego. Anche qualora si decidesse di allentare i vincoli di bilancio, il vero problema sollevato dall’entrata in vigore del Fiscal Compact rimarrebbe intatto, cioè l’obbligo di ridurre il rapporto debito/PIL al 60% in venti anni ossia al ritmo del 5% annuo che, mal contati, corrispondono all’incirca a una cinquantina di miliardi di euro all’anno. Per raggiungere questi ambiziosi e, credo, irrealizzabili target, sarebbe necessario attuare misure straordinarie in materia di finanza pubblica. E in base alle mie stime e ricerche inserite nel mio primo saggio Idee per l’Italia, per scendere sotto la soglia del 100% saremmo chiamati ad allestire la più grande azione di dismissione di asset pubblici immobiliari e mobiliari al Mondo. E vorrei ricordare ai lettori di Forexinfo.it che non è affatto detto che smantellando l’attivo dello Stato si riesca a debellare alla radice un problema che, in fondo, non è neppure un problema di debito pubblico; ma che diventa un problema di debito quando uno Stato, ormai esautorato della sue stesse funzioni vitali, si lega a un vincolo esterno, cioè a una moneta e a un corpo di regole anacronistiche, provvedendo così alla cessione a terzi della propria sovranità monetaria e di riflesso anche del controllo su tutte le attività economiche e politiche del Paese.
Un altro attore di primaria importanza nell’attuale congiuntura economica è la BCE. Tra poco meno di un mese partirà il programma di finanziamento LTRO per finanziare le imprese europee, attraverso le banche. Una misura sufficiente per risollevare le sorti europee o da associare anche a un quantitative easing finalizzato all’acquisto di titoli pubblici?
Quella di un LTRO a favore delle PMI è una soluzione sicuramente importante. Già nel maggio 2012 il sottoscritto fu autore di una proposta in base alla quale la BCE avrebbe prestato liquidità agli istituti di credito dell’Eurozona ponendo una condizione vincolante: ogni euro ricevuto da Francoforte attraverso una ipotetico LTRO «salva economia reale» verrebbe impiegato per aprire linee di credito a lungo termine (a 5 e a 10 anni) a favore delle PMI a tassi d’interesse pari o prossimi al costo del denaro. Questa mia proposta è stata ripresa e migliorata, a mia insaputa, da Gianpiero Samorì dei Moderati in Rivoluzione, il MIR, nell’estate 2013 sotto forma di progetto di legge di iniziativa popolare.
Non credo, tuttavia, che la proposta della BCE sia risolutiva. In primis perché il successo di una qualsiasi operazione promossa a livello europeo può produrre i risultati sperati solo se essa è allineata con una serie di altre iniziative e politiche europee. Vi è inoltre il rischio di vanificare a livello domestico gli aiuti che ogni tanto l’Europa ci concede. E allora per fare in modo che l’LTRO «salva PMI» produca i risultati sperati è necessario che il nostro Governo venga incontro alle aziende italiane fornendo, per esempio, sostegni fiscali quali la riduzione delle aliquote fiscali e concessioni sulle accise energetiche. Con il rischio di non poterlo fare perché mancano le ormai tristemente famose coperture; e questo perché ci sono i vincoli di bilancio da rispettare. E allora si torna al punto d’origine cioè all’impossibilità di uscire dalla crisi per via della presenza di regole europee anacronistiche e, al tempo stesso, fortemente contraddittorie.
Una parte consistente del suo ultimo saggio, A.B.C. Italia è dedicata a delle specifiche proposte di politica economica per le piccole e medie imprese italiane, un comparto vitale nel nostro Paese, a cui anche l’attuale governo sta dedicando crescenti attenzioni. Può spiegare quali sono, a suo modo di vedere, gli interventi più urgenti da mettere in campo e quali potrebbero essere ulteriori soluzioni da prendere in considerazione?
Come ho già accennato sia in questa sede sia nel mio ultimo saggio, per salvare le PMI italiane occorre contestualmente agire su due fronti, in Europa e a livello domestico. Per quanto riguarda le azioni di politica economica da attuare a livello domestico, in A.B.C. Italia vengono passate in rassegna alcune delle più significative proposte elaborate da associazioni, centri studi ed enti, tra cui quelle di Confindustria, l’Associazione Bancaria Italiana (l’Abi), Bocconi e via dicendo. Molte di queste si concentrano sul nodo della riforma del mercato del credito nel tentativo di slegarlo dal circuito bancario; e quindi nel mio nuovo saggio si troveranno proposte volte ad affinare e ad aprire il mercato dei mini-bond introdotti nel 2012 dal Governo Monti, ma anche cartolarizzazioni e private equity. Vi sono poi interventi più radicali che suggeriscono la ripubblicizzazione della Cassa depositi e prestiti e di Banca d’Italia.
Nel mio saggio A.B.C. Italia viene dato spazio anche a un serie di proposte “settoriali” volte a rilanciare i comparti primari, secondari e terziari, e, laddove possibile, coniugandoli.
La ricetta per tornare a crescere, o per lo meno per fermare il declino del nostro Paese, è a mio avviso meno complicata di quanto possa apparire in prima istanza. Molte delle proposte hanno anche dei costi attuativi ragionevoli, se vogliamo restare in un’ottica di pareggio di bilancio, e non richiedono neppure particolari colpi di genio. A conti fatti, occorre che sia soprattutto la classe dirigente a prendere l’iniziativa, rinnovandosi, dando spazio ai giovani e all’innovazione, mettendo quindi definitivamente da parte quei paradigmi economici e quella forma mentis che fino a questo momento, anziché valorizzare, hanno fatto regredire, anziché progredire, un’intera Nazione e un intero Continente che per tradizione culturale resta e resterà sempre uno degli epicentri del mondo.
Grazie per la collaborazione.
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