Dibattito pubblico sulle grandi opere: le enormi criticità del modello italiano

Erasmo Venosi

19 Luglio 2018 - 09:37

Il dibattito pubblico sulle grandi opere infrastrutturali e di architettura di sociale a 23 anni dalla legge Barnier in Francia. Una legge che afferma di far riferimento al modello francese ma che in realtà ne rappresenta un mero riferimento formale

Dibattito pubblico sulle grandi opere: le enormi criticità del modello italiano

Gli art 22 e 23 del Nuovo Codice Appalti introducono il dibattito pubblico sulle grandi opere.

Un istituto di democrazia partecipativa, di confronto tra pubblica amministrazione e privati, riguardante materie sensibili come il governo del territorio e l’ambiente. Un istituto regolamentato nel mese di maggio e fortemente limitativo nella sostanza.

Elimina dal dibattito numerose tipologie di impianti ad elevato impatto ambientale e delega al soggetto realizzatore dell’opera la scelta del coordinatore del dibattito pubblico. Lontano anni luce dal modello francese a cui si richiama.

Il contratto di governo Lega-Movimento 5 Stelle manca di due elementi fondamentali quali il consumo di suolo nel paese del dissesto idrogeologico e la partecipazione dei cittadini nei grandi progetti infrastrutturali che alterano lo stato dell’ambiente.

La partecipazione al dibattito pubblico è prevista dall’art 22 del nuovo Codice Contratti. Il dibattito pubblico nell’ambito del procedimento sull’approvazione delle opere pubbliche rappresenta la trasformazione dei processi decisionali della PA tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. È un preliminare passaggio della procedura di confronto tra pubblica amministrazione e privati interessati all’iter di formazione delle decisioni.

Il dibattito pubblico: la legge Barnier e il modello francese

Il “debat public” è stato introdotto in Francia con la legge cosiddetta “legge Barnier” (legge 95/101) e a seguito le contestazioni nate per la costruzione della linea al alta velocità Lione/Marsiglia. Il dibattito pubblico ha una finalità di prevenzione del conflitto sociale. Bisogna anche ricordare che i francesi hanno considerato il dibattito pubblico quale espressione di un nuovo diritto di natura costituzionale di partecipazione all’elaborazione delle politiche pubbliche in materia ambientale.

Debat public che è affermato nella Charte de l’environmental che è stata acclusa alla Costituzione francese per opera della legge costituzionale n 205/2005. Oltre a differenze sostanziali rilevanti tra il modello scelto dall’Italia per il dibattito pubblico sulle grandi opere, è interessante rilevare che nella prima versione del nuovo Codice Appalti (novembre 2014) non si faceva per niente riferimento al dibattito pubblico sulle grandi opere e che l’inserimento nel testo (art 22 dlgs 50/2016) è avvenuto per opera dell’8 Commissione permanente e dove è chiaramente scritto che il dibattito pubblico si ispirasse al modello francese.

Il dibattito pubblico in Francia riguarda i progetti concernenti le materie di governo del territorio e delle infrastrutture energetiche, oltre ai temi ambientali rientranti in determinate categorie.

Nel modello francese la Commissione Nazionale sul Dibattito Pubblico è un’Autorità amministrativa indipendente composta di ventuno membri (un Presidente e due vice nominati con decreto del Capo dello Stato un deputato e un senatore nominati dai presidenti delle rispettive Assemblee, sei membri nominati localmente, 4 magistrati nominati dal Conseil d’Etat, dalla Corte di Cassazione e dalla Corte dei Conti, 2 rappresentanti delle associazioni ambientaliste nominati dal Capo del Governo su proposta del Ministro dell’Ambiente, due rappresentanti dei consumatori e utenti e infine 2 personalità qualificate. Restano in carica 5 anni.

Appare evidente la terzietà e neutralità della Commissione nel modello francese e la definizione da parte della legge istitutiva di tutte le fasi del procedimento che vanno dalla fase preparatoria del dibattito al suo svolgimento e alla fase conclusiva, entro 2 mesi e produzione di due documenti denominati rendiconto e bilancio del dibattito. Nei documenti sono riportati i punti di vista emersi nel dibattito, la qualità della informazione e i numeri sulla partecipazione.

Il modello italiano

Nel modello italiano il dibattito pubblico sulle grandi opere tra l’altro approvato nel mese di maggio ed entrerà in vigore il 24 agosto pv la differenza rispetto a quello francese è rilevante. L’arretratezza culturale dell’ordinamento congiunta alla bassa concezione che i governanti hanno della democrazia partecipativa ha previsto il dibattito nel nuovo codice appalti ma rinviando la disciplina a un DPCM. Il dibattito pubblico si svolge sul “documento delle alternative”.

I costi del dibattito pubblico sono a carico della stazione appaltante quindi a carico delle Amministrazioni pubbliche. Il dibattito pubblico si svolge sulle opere indicate nell’Allegato 1 alla legge che contiene tipologie e soglie dimensionale delle opere soggette a dibattito. Esclusi dal dibattito impianti energetici, gasdotti, oleodotti, trivelle, centrali “chimiche” e impianti nucleari. Rientrano nella soglia dimensionale le opere che vanno da 200 a 500 milioni di euro. Il dibattito pubblico può essere richiesto anche da 50 mila cittadini elettori.

Il punto dolente riguarda la governance. Considerato che il dibattito è gestito da un coordinatore del dibattito scelto dal proponente l’opera! La procedura dovrà essere ultimata entro due mesi dalla ricezione della relazione redatta dal proponente. Evidente che il richiamo al modello francese è puramente formale. Nel modello francese, infatti, il coordinatore del dibattito è nominato da un organismo indipendente qual è la commissione Nazionale sul Dibattito Pubblico e non “selezionato” da chi realizza l’opera.

Inoltre viene costituito presso il Ministero delle Infrastrutture una “Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico” che ha il compito di redigere linee guida sul dibattito, gestire sito web e informare le Camere sulle criticità. La Commissione Nazionale per il Dibattito è istituita presso il ministero delle infrastrutture ed è composta di 13 membri (2 ministero infrastrutture, 1 quello dell’ambiente, Beni culturali, Sviluppo economico, Salute, Giustizia; 1 rappresentante per la Conferenza Stato Regioni, 1 per l’Unione delle Province Italiane e 1 per l’ANCI) + 3 esperti (nominati dal Ministro delle Infrastrutture su proposta della Commissione stessa).

Inoltre è previsto un Comitato di monitoraggio che assiste il proponente, l’opera durante la fase del dibattito. È composto dagli enti locali direttamente coinvolti nell’intervento. Un istituto di democrazia partecipativa lontano anni luce dal modello francese, che esclude opere a elevato impatto ambientale e che infine demanda al proponente l’opera la scelta del coordinatore del dibattito.

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