Book Calling #46: Drive di Daniel H. Pink, cosa guida la nostra motivazione?

Antonella Coppotelli

20 Aprile 2022 - 17:00

Drive di Daniel H. Pink è stato uh libro rivoluzionario sulla motivazione che dopo esser stato un bestseller è scomparso dalla vendita. Oggi è tornato disponibile grazie ad Ayros.

Tutto quello che fino a oggi credevamo valido sulla motivazione è messo scientificamente e lucidamente in discussione da Daniel H. Pink, autore di Drive. Il libro è uscito oltre dieci anni fa e ha scalato immediatamente le classifiche dei libri più letti e venduti in ambito business, Improvvisamente, però, scomparve dai radar delle librerie e dei magazzini, non permettendo a tutta una generazione di professionisti e manager di poter attingere alle sue teorie e rivedere o quantomeno mettere in discussione le linee guida adottate finora ed ereditate da una forma mentis professionale del secolo scorso.

A dare una nuova vita a Drive ci ha pensato Joshua Volpara con Ayros, la sua casa editrice che in collaborazione con Francesco Frugiuele, Co-Founder di Kopernicana e autore della prefazione, hanno rimesso in circolo una nuova edizione.

Perché Drive è un libro rivoluzionario ancora oggi

Fin dalle prime pagine di Drive si accende una scintilla e si attiva una curiosità tale che non abbandonerà il lettore fino alla fine: l’autore, infatti, inizia la sua narrazione partendo da tutta una serie di esperimenti scientifici di vario genere condotti in differenti università statunitensi. Tutti hanno come comune denominatore cosa davvero guidi la motivazione di un essere vivente nel portare a termine un compito assegnato indipendentemente dal fatto che alla fine si riceva o meno un premio (opzione inserita nelle varie indagini condotte). Il risultato finale e anche qui univoco è stato pressoché il medesimo in tutte le indagini eseguite: non era il premio finale a spingere la conclusione di un lavoro ma il divertimento, il voler dimostrare competenza e il senso di responsabilità del portare a termine un task.

I gruppi che preformavano meglio, infatti, erano quelli coinvolti senza obiettivi tangibili ma che avevano l’unico scopo di risolvere un problema. Da qui, quindi, si trae un primo grande insegnamento: non sono né il bastone né la carota a far lavorare meglio le persone o, se vogliamo allargare il campo anche alla sfera privata, a far ottenere risultati di un certo tipo agli studenti. La motivazione nasce da elementi “intrinsechi” che appartengono alla nostra natura e che, paradossalmente, non possono essere foraggiati dal miraggio del raggiungimento delle performance. Viene da chiedersi allora se quanto fatto finora, specie in ambito professionale sia stato tutto sbagliato o se della “Motivazione 2.0” si possa salvare qualcosa.

E’ giusto stimolare le persone ponendo come obiettivo il raggiungimento di premi, la maggior parte dei quali pecuniari? La domanda va posta se ben si inquadra la tipologia di lavoro che si svolge e si contestualizza con l’epoca storica di riferimento. Daniel H. Pink, infatti pone un distinguo molto importante tra le varie tipologie di attività: finché si tratta di lavori “algoritmici” ossia ripetitivi, cadenzati ha senso incentivare nella maniera classica attraverso “motivazioni estrinseche”, metodologia che tra le altre cose ha prodotto risultati concreti e soddisfacenti per buona parte del tempo.

Allora cos’è cambiato nel mentre? Perché tale metodo, oggi (ma ricordiamo bene anche più di dieci anni fa) cominciava a mostrare i propri limiti? Anche qui la risposta risiede nell’evoluzione del business e il primo ventennio degli anni 2000 ne sono stati la prova essendo passati da una concezione algoritmica del lavoro a una “euristica”: ne sono stati prova progetti basati sull’open source quali Wikipedia, per esempio, dove sempre più persone vi hanno lavorato gratuitamente e spontaneamente l’hanno alimentata a tal punto tale da renderla l’enciclopedia più consultata al mondo. Questo non significa che il lavoro non debba essere remunerato o non vi debba essere uno stipendio di base dignitoso che permetta un congruo stile di vita; si dà per assodato che la base di partenza sia adeguata per tutti ma non è di solo denaro che si vive e ciò che ci anima quotidianamente sul lavoro e nel privato è ben altro.

Al giorno d’oggi si tende sempre più verso mestieri concettuali, creativi dove la mente è la protagonista e dove noi vogliamo lasciare un segno: il nostro. Stiamo affidando sempre più a soluzioni di IA una serie di mansioni “algoritmiche” e a noi resta in carico di sviluppare sempre più senso di responsabilità e appartenenza al progetto che abbracciamo. Ecco, quindi, che ritornano le motivazioni intrinseche a guidarci quotidianamente dove autonomia, competenza e proposito sono i fari che ci aiutano nella realizzazione. Ecco, quindi, che da 2.0 la motivazione evolve verso il 3.0. La domanda da porsi qui è, quindi, come mantenere vive e profittevoli tali attitudini e far sì che diventino reale capitale per le diverse organizzazioni. In Drive è presente più di qualche consiglio e spunto per mantenere alta la motivazione e la valorizzazione delle risorse proprie e altrui.

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