Mentre Gazprom annuncia il completamento dei lavori della pipeline tra Russia e Germania, il Dipartimento di Stato recapita un avvertimento dal sapore di minaccia. Ciclico allarme hacker in vista?
Qualcuno potrebbe trovare indelicato sottolineare criticamente le mosse di politica estera Usa a poche ore dal giorno in cui l’America ha ricordato i 20 anni dall’11 settembre e i quasi 3.000 morti dell’attentato più sanguinoso mai patito sul proprio suolo. L’alternativa, però, rischierebbe di apparire come una pelosa ipocrisia che sconfina pericolosamente nella sudditanza politica, un’accettazione passiva della conventio ad excludendum posta in essere quasi tacitamente. Perché la notizia, al netto dell’angolazione di posizionamento da cui la si osserva. rimane di quelle da segnare in rosso sul calendario.
Il 10 settembre, infatti, Gazprom ha comunicato che la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 è stata ultimata: In una riunione operativa mattutina dell’azienda, il presidente del consiglio di amministrazione, Alexey Miller ha reso noto che alle 8:45 ora di Mosca, la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 è stata del tutto completata, recitava il comunicato con tono solenne. E un po’ sovietico. A questo punto, il gigante energetico russo si aspetta di commissionare il gasdotto entro la fine dell’anno. Stando ai calcoli di Gazprom, 5,6 miliardi di metri cubi di gas possono essere forniti attraverso il gasdotto Nord Stream 2 già nel 2021. Bloomberg, citando fonti vicine alla parti, ha riferito che Gazprom prevede di iniziare a fornire gas attraverso la prima stringa del Nord Stream 2 già dal 1 ottobre e attraverso entrambe entro il 1 dicembre.
Come mostra l’infografica,
si tratta di un’infrastruttura enorme e di importanza strategica fondamentale: Nord Stream 2 comprende due linee del gasdotto con una capacità totale di 55 miliardi di metri cubi all’anno dalla costa della Russia attraverso il Mar Baltico fino alla Germania. Insomma, un benedizione. Non fosse altro per quanto mostrato da questo grafico:
il trend inflattivo, ovviamente transitorio, unito alla scelta russo di mettere un po’ sulla graticola l’Ue, limitando i flussi della pipeline alternativa che arriva all’hub tedesco di Mallnow, ha infatti fatto esplodere il costo del gas europeo (Dutch), tanto che oggi la bolletta elettrica di un cittadino spagnolo segna un +40% su base annua. E l’Italia si prepara essa stessa a un primo salasso autunnale.
Ecco quindi che, al netto del sospetto silenzio mediatico rispetto a un’infrastruttura tanto esiziale (sia per i cittadini che per le imprese europee) quanto sgradita agli statunitensi (le cui minacce di sanzioni spinsero nel 2019 la svizzera Allseas ad abbandonare i lavori, con conseguente blocco fino al dicembre 2020), l’inviato del Dipartimento di Stato Usa per le questioni energetiche, Amos Hochstein, ha sentito da subito il bisogno di alzare l’asticella dei toni. L’Europa non sta facendo abbastanza per prepararsi a fronteggiare una potenziale crisi del gas questo inverno, specialmente alla luce del fatto che le forniture di LNG statunitense non possono essere aumentate ulteriormente, la sua tesi.
Quantomeno bizzarra, in effetti. Sia perché la discrepanza dei numeri della dipendenza europea fra gas russo e americano presente nell’infografica precedente parla chiaro, sia perché appare sospetto mettere in guardia da un eventuale gas crunch nel giorno in cui viene comunicato il completamento di una pipeline che, solo quest’anno, potrebbe già garantire 5,6 miliardi di metri cubi. Attenzione, però, a un paio di particolari. Primo, per lanciare la sua nemmeno troppo velata minaccia travestita da interessato avvertimento, Hochstein non ha scelto una location a caso, oltre che un giorno a caso: si trovava infatti in Polonia, il Paese europeo storicamente più anti-russo di tutti. Secondo, nel sottolineare come le riserve europee di gas oggi siano ben al di sotto delle media a cinque anni, l’inviato Usa rimarcava anche come la Russia sta uscendo solo ora da un periodo di inspiegabile bassa fornitura. Come dire, state legandovi mani e piedi alle bizze di Vladimir Putin.
E questo grafico
mostra cosa Hochstein pare essere andato implicitamente a vendere al pubblico amico della Polonia, quasi si trattasse di un piazzista di alto rango: nonostante l’impennata delle ultime settimane (5 dollari per mBtu, il massimo dal 2014), grazie all’attività di drilling legata allo shale gas e alle fonti interne, il prezzo del LNG Usa ancora oggi viaggia su valutazioni di circa un quarto rispetto a quello pagato dagli europei. Come dire, al netto dei costi e delle criticità di trasporto, vi conviene ancora chiudere un affare con un alleato, piuttosto che dipendere totalmente da un nostro (e vostro) nemico. I colli di bottiglia sulla supply chain al Dipartimento di Stato non risultano ancora nell’elenco delle criticità globali, a quanto pare.
Il tutto con alla base l’accordo raggiunto lo scorso luglio fra Angela Merkel e Joe Biden, il quale ha accettato il completamento di Nord Stream 2 senza l’imposizione di sanzioni ma a due condizioni. Primo, sostenere l’Ucraina, la quale rischia di perdere 3 miliardi di dollari l’anno di tasse legate al transito del gas dalla Russia. Secondo, legare l’operatività a una cosiddetta clausola kill switch, in base alla quale Berlino sospenderebbe i flussi di gas qualora la Russia metta in atto iniziative aggressive nei confronti dei suoi vicini o alleati occidentali.
Insomma, in caso dovesse casualmente saltare fuori un altro attacco hacker contro infrastrutture sensibili Ue o le questioni legate a Ucraina, Bielorussia o caso Navalny dovessero conoscere un peggioramento, Washington potrebbe ricordare alla Germania il proprio impegno. Non a caso, sempre ieri, Mosca ha inviato un segnale fin troppo chiaro agli Usa, convocandone l’ambasciatore John Sullivan per protestare contro attività di interferenza nel voto per la Duma del 19 settembre.
A dir poco simbolica come scusa per un richiamo ufficiale da parte del Cremlino. Ma che il clima al riguardo sia terribilmente teso in Germania, oltretutto alla vigilia del voto legislativo che potrebbe chiudere quasi due decadi di politica estera Cdu, lo mostra questo grafico:
gli Usa hanno infatti consolidato il loro ruolo di principale mercato per l’export tedesco, raggiungendo negli scorsi 12 mesi beni e servizi per 113,5 miliardi di euro contro i 104 di Pechino. Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma le parole di Hochstein, proprio nel giorno dell’annuncio di Gazprom, sembrano andare oltre. E aprire scenari di crisi reale, quando ormai all’arrivo del freddo mancano poche settimane. Mentre i costi dell’energia già erodono i margini delle imprese.
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