Meloni ha delle chance di diventare la prima donna Presidente del Consiglio. L’opinione dei politologi sull’ascesa della leader di FI.
Lo dicono i sondaggi, lo dicono i giornali e forse anche il momento storico è particolarmente propizio. Alle politiche del 2023 c’è una possibilità di veder trionfare Fratelli d’Italia e, cosa ancor più degna di nota, vedere Giorgia Meloni diventare premier.
Il ruolo di Presidente del Consiglio passerebbe per la prima volta nelle mani di una donna, ma non sarebbe un caso. Anzi, l’eventuale vittoria parlerebbe del vero volto dell’Italia (e dell’Europa) più di quanto non sembri.
Attraverso le parole dei politologi ricostruiamo ascesa e tasso di consenso di questa figura tanto nota quanto controversa della scena democratica attuale. É proprio grazie alle loro parole che oggi infatti si delineano i motivi di una sua potenziale conquista di Palazzo Chigi.
Ne parlano anche i giornali
A darla favorita sono, oltre ai numeri delle statistiche, anche due testate internazionali quali il Financial Times e il The Economist. Le due posizioni convergono sull’eleggerla una valida candidata nella partita delle prossime elezioni politiche.
Il FT basa la sua analisi sulla disfatta di tutti i gruppi dopo la “partita” del Quirinale che, come molte voci autorevoli del panorama intellettuale hanno sottolineato, ha restituito più che altro l’immagine di frammentazione identitaria dei gruppi e l’assenza di coerenza, solida leadership e progettualità comune.
Lo stesso Times sosteneva:
“Ci vuole uno sforzo eccezionale per far apparire i politici della Prima Repubblica italiana sotto una buona luce, ma nell’ultima settimana i politici della Seconda Repubblica ci sono riusciti. Il processo attraverso il quale è stato eletto nuovamente Sergio Mattarella come presidente della Repubblica italiana ha messo a nudo una classe politica profondamente divisa e litigiosa, ma con un comune interesse egoistico per la propria sopravvivenza.”
Il quadro tratteggiato però lascia fuori proprio Fratelli d’Italia, rafforzato dalla coerenza e dalla compattezza di voto di Giorgia Meloni e i suoi.
In chiusura nell’articolo pubblicato dal quotidiano britannico si legge:
“In mezzo a questi calcoli egoistici, un partito sta tracciando un percorso distintivo – la destra di Fratelli d’Italia, guidata da Giorgia Meloni. È l’unico grande partito che ha rifiutato di unirsi al governo di Draghi, e i sondaggi mostrano che attualmente è il partito maggiormente apprezzato nella parte destra dello spettro politico. L’Italia potrebbe essere ad appena un anno di distanza dal decidere se insediare il suo primo Presidente del Consiglio di destra del dopoguerra”.
Il fatto è che questa convinzione è la stessa che ha portato Meloni a scagliarsi con così tanto sprezzante coraggio con il centrodestra da cui si sarebbe sentita tradita e dal quale, quindi, ha voluto prendere le distanze causando notevoli conseguenze.
C’è poi l’Economist che a novembre 2021 già aveva tracciato il profilo della leader di Fratelli d’Italia inserendola tra le personalità da tenere d’occhio nel 2022. Inserendola di fatto all’interno del suo numero speciale The World Ahead 2022 il settimanale parla di Giorgia Meloni come potenziale prima presidente del Consiglio donna d’Italia:
“Il partito ha avuto successo allontanandosi dal potere, opponendosi alla formazione degli ultimi tre governi, ma questo potrebbe presto cambiare”.
Il fattore vincente sarebbe proprio questo “tenendosi a distanza dal potere". Essere stata all’opposizione degli ultimi tre governi le ha permesso di intestarsi tante vittorie e costruire una narrativa fondata sulla continuità, proprio quello che gli italiani non vedono nel resto delle fazioni alla maggioranza.
Non una quota rosa qualsiasi
Le due testate hanno quindi specificato i motivi politici che hanno portano Meloni alla ribalta e che forse la porteranno anche a destinazione, ma c’è un ultimo aspetto socio culturale da considerare, una dinamica recentemente messa in luce da vari analisti e riassunta dal media Factanza.
Parlando di donne e politica, collegando quindi il genere alla posizione di potere ricoperta, la tendenza prevalente in Europa è la guida di donne conservatrici. Così come è stato in realtà in tutti gli altri casi in cui al comando di Paesi come il Regno Unito o la Germania si è affermata una figura femminile (Theresa May, Margaret Thatcher e Angela Merkel).
Da Christine Lagarde a Ursula von der Leyen fino a Roberta Metsola si parla sempre di posizioni dirigenziali a stampo più conservatrice che progressista. La ragione? Factanza ipotizza che ciò sia dovuto al fatto che «il raggiungimento di posizioni apicali» viene concesso «solo alle donne che riescono ad assecondare metodi comunicativi e approcci tipicamente maschili, e quindi considerati accettabili».
Per scalare i gradini della politica (italiana o internazionale) quindi quanto empowerment femminile si può davvero avere?
In ultimo poi verrebbe da chiedersi; come mai in Italia l’unica figura di rilievo a capo di un partito ad essere una donna non appartiene a quelle frange che si dicono portatrici di valori legati alla parità di genere, all’autodeterminazione delle donne o altre battaglie definite per l’appunto progressiste?
© RIPRODUZIONE RISERVATA