Le parole di Letta su Mps non scaldano: in assenza di mosse concrete, difficilmente i suoi impegni sul Monte produrranno effetti politici positivi.
Enrico Letta entra in campo sul dossier Monte dei Paschi di Siena, ma la mossa potrebbe rivelarsi un boomerang. L’ex premier e attuale segretario del Pd impegnato nella campagna per le suppletive nel collegio senese ha più volte esposto la sua volontà di promuovere una soluzione per la crisi del Monte.
Ma gli interlocutori locali sono estremamente freddi di fronte alla prospettiva che quelli di Letta si rivelino slogan elettorali destinati a non aver seguito. Letta non ha preso impegni concreti anche – e soprattutto – perché questo vorrebbe dire vincolare l’agenda del suo partito su un dossier che vede il governo impegnato direttamente.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è il primo azionista del Monte e sta procedendo a guidare la trattativa per il suo ritorno nel mercato privato. Tra le banche che potrebbero occuparsi di Rocca Salimbeni spicca, da tempo, la candidatura di Unicredit alla cui presidenza si è inserito Pier Carlo Padoan, che da ministro fu artefice del salvataggio pubblico del Monte, da politico dem è stato eletto nel collegio di Siena e, dimettendosi da Montecitorio, ha aperto la corsa che vede Letta impegnato.
Non è dunque difficile intuire perché sul caso Mps Letta non sia andato oltre prese di posizioni estremamente generiche: le accuse che da più parti, non da ultima la Lega di Matteo Salvini, sono piovute sull’ex premier e sul Pd contestano in particolare la contiguità e l’organicità tra il partito e la banca.
Letta, del resto, è stato sottosegretario di quel governo Prodi II in carica dal 2006 al 2008 e che benedisse la scalata di Mps ad Antonveneta, inizio dei guai per l’istituto senese. A oltre quindici anni di distanza, i destini politici del segretario e quelli del Monte tornano a incrociarsi: e per il Pd questo impone un problema in più con cui mediare per evitare le accuse di incoerenza.
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