Coltivare una pianta di marijuana sul balcone della propria abitazione non è reato, a stabilirlo una sentenza della Cassazioni. I dettagli del caso che potrebbe cambiare la situazione in Italia di seguito.
La marijuana potrebbe ben presto essere liberalizzata, grazie ad una proposta di legge, e nel frattempo si fanno i primi passi avanti per cominciare a cambiare la situazione. La Corte di Cassazione ha infatti deciso che non deve essere considerato reato la coltivazione di una pianta di marijuana sul balcone della propria abitazione.
Difatti coltivando una sola pianta non si può in alcun modo incrementare il mercato delle sostanze stupefacenti.
La liberalizzazione della marijuana è uno dei punti che dovranno essere discussi alla Camera nei prossimi mesi, ma che continuano ad essere rimandati. La proposta di legge, presentata da un intergruppo, prevede che i maggiorenni possano detenere per consumo personale fino a 15 grammi di marijuana in casa.
Inoltre nel ddl liberalizzazione si prevede la creazione di social club, come si possono trovare in Spagna, per la coltivazione della marijuana.
Il ddl sembra essersi arenato alla Camera e non si hanno più notizie del suo iter da mesi. Adesso però si torna a parlare dell’argomento per la sentenza della Corte di Cassazione che respinge il ricorso che era stato presentato dal procuratore. Vediamo cosa è successo e come potrebbe cambiare la situazione in Italia per la coltivazione personale della cannabis.
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Marijuana, coltivare una pianta sul balcone non è reato: la sentenza della Cassazione
Le vicende iniziano il 16 febbraio, quando il tribunale di Siracusa decreta il “non luogo a procedere” per un cittadino siciliano. L’uomo in questione coltivava una pianta di canapa indiana sul terrazzo e il tribunale della città aveva deciso che non consisteva il reato.
La presenza di una sola pianta nell’abitazione e il basso contenuto di Thc portavano ad escludere lo spaccio e a considerare la questione come consumo personale.
A non essere d’accordo con la sentenza era il procuratore della repubblica, che metteva in luce la violazione della legge penale. In particolare il procuratore faceva notare come si fossero violati gli articoli 425-428 del Codice di procedura penale.
Per tali ragioni aveva deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. La condotta del cittadino andava infatti sanzionata in base alla tipologia di pianta, al peso e alla quantità di Thc.
Il procuratore sosteneva infatti che, sebbene la pianta di marijuana fosse solo una, era già alta quasi un metro e non era ancora all’apice della sua maturazione. Inoltre il livello di Thc era al di sopra dei limiti indicati dalla Legge e di conseguenza la infrangeva.
Si dovevano quindi prendere in considerazione anche le dimensioni e il peso specifico della pianta di marijuana in questione.
La Corte di Cassazione ha però deciso di dare ragione all’imputato, dal momento che con la coltivazione di una sola pianta non si può incrementare lo spaccio di marijuana. Nella sentenza della Cassazione si esclude infatti che:
da questa coltivazione possa derivare quell’aumento della disponibilità della sostanza e quel pericolo di ulteriore diffusione che sono gli estremi integrativi della offensiva e punibilità della condotta ascritta.
Marijuana, coltivazione in casa: che fine ha fatto il ddl liberalizzazione?
La Corte di Cassazione riapre quindi la questione della liberalizzazione della marijuana, riportando in primo piano la necessità di norme adeguate. Il consumo di cannabis in Italia non è infatti trascurabile, dal momento che le stime parlano di 13 milioni di consumatori.
Lo Stato non ha quindi il controllo della situazione, che al momento è totalmente in mano alle mafie alle criminalità organizzata.
Il ddl aveva incontrato fin da subito degli ostacoli e soprattutto le critiche degli oppositori, che per diversi motivi avevano provato a osteggiare l’iter della proposta. Al momento sembra che la questione sia andata a finire nel dimenticatoio, dato che da mesi ormai non se ne discute più.
Il 25 luglio, giorno in cui doveva essere discussa, il dibattito è saltato e la situazione di instabilità politica attuale non permette di riprendere in mano la questione.
Nel frattempo però lo Stato rinuncia ad un giro di affari che ogni anno fattura sui 12 miliardi e che è del tutto in mano alla microcriminalità. Una perdita non proprio insignificante se si prendono in considerazione le difficoltà economiche in cui versa l’Italia.
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