Congedo di maternità interamente fruito dopo il parto: certificato necessario, ecco tutte le informazioni a riguardo e sulle procedure da seguire per non commettere errori.
Tra le modalità di fruizione del congedo di maternità c’è anche quella che consente alla lavoratrice di astenersi dal servizio nel periodo che va dalla data del parto (presunta o effettiva) al compimento del 5° mese del figlio.
Si tratta di una novità piuttosto recente, in quanto è stata introdotta dall’articolo 1, comma 485, della legge n°145 del 30 dicembre 2018, ossia la Legge di Bilancio 2019. Questa ha introdotto una modifica, un comma 1.1, all’articolo 16 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo n°151 del 26 marzo 2021.
A recepire queste novità è stata la circolare 148/2019 dell’Inps, nella quale vengono indicate tutte le modalità per fruire del congedo obbligatorio di maternità interamente dopo il parto, così da avere più tempo da dedicare al nascituro.
Ovviamente una tale possibilità non deve mettere a rischio la salute della mamma o del bambino: per questo motivo è necessario che ci sia un certificato medico con il quale si attesta che la prosecuzione dell’attività lavorativa oltre l’8° mese (data in cui dovrebbe iniziare il congedo di maternità ordinario) non comporta alcun pericolo e non mette a rischio il proseguo della gravidanza.
MATERNITÀ DOPO IL PARTO
Maternità: il congedo di 5 mesi interamente dopo il parto
Negli ultimi anni è emersa la necessità di riconoscere alla lavoratrice in gravidanza una maggiore flessibilità riguardo alle modalità di fruizione del congedo di maternità.
Il periodo di congedo obbligatorio, infatti, va dai 2 mesi precedenti alla data presunta del parto, quindi da quando la mamma entra nell’8° mese di gravidanza, ai primi 3 mesi del figlio. Al compimento del 3° mese del bambino, quindi, bisogna fare rientro al lavoro con la possibilità di richiedere i permessi per allattamento oppure di fruire di qualche altro giorno - o mese - di permesso grazie al congedo parentale.
Le suddette modalità di fruizione, tuttavia, sono state criticate in quanto troppo vincolanti per le lavoratrici. C’è chi, infatti, chiedeva di ritardare l’inizio del congedo così da avere più tempo da passare con il nascituro.
Un primo passo c’è stato con il riconoscimento della “flessibilità 1+4”: con questa, il congedo di maternità ha inizio 1 mese prima dalla data presunta del parto e si protrae fino al compimento del 4° mese del bambino.
Un secondo, e definitivo, passo viene fatto appunto con la Legge di Bilancio 2019, con la quale - in presenza di determinate condizioni - viene data alla futura mamma la possibilità di godere del congedo di maternità obbligatorio interamente dopo il parto. Questa, dunque, dovrà lavorare (con la possibilità di fruire di ferie e permessi nel frattempo) fino al giorno precedente alla data del parto, così poi da potersi assentare dal lavoro fino al compimento del 5° mese del bambino (salvo eccezioni, come vedremo di seguito).
Per usufruire di una tale flessibilità, però, è necessario che sussistano alcune condizioni. A tal proposito, ecco quello che serve sapere su procedure e obblighi che la neo mamma deve seguire.
Maternità: quale certificato medico per la maternità dopo il parto?
La circolare 148/2019 dell’INPS fa chiarezza sulle procedure da seguire per la flessibilità del congedo di maternità. Nel dettaglio, per posticipare interamente la maternità dopo il parto è necessario che ci sia un certificato medico con il quale si attesta che una tale opzione non arreca pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Tale situazione deve essere certificata da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale, o con esso convenzionato.
Inoltre - ma solo laddove sia presente - l’assenza di pregiudizio nel ritardare l’inizio del congedo di maternità va certificata anche dal medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute dei luoghi di lavoro (solitamente nel caso delle medio e grandi aziende).
Maternità ritardata a dopo il parto: quando serve il certificato?
Il certificato suddetto va presentato entro l’entrata dell’8° mese di gravidanza, quando appunto la lavoratrice dovrebbe sospendere l’attività lavorativa per l’inizio del congedo di maternità obbligatorio.
Le opzioni sono due:
- il medico che certifica l’assenza di pregiudizio si prende la responsabilità di confermare che la lavoratrice può lavorare per altri 2 mesi senza incorrere in alcun rischio per la propria salute o per quella del bambino;
- il medico decide di autorizzare la prosecuzione dell’attività lavorativa per un altro mese ancora, per poi rivalutare la situazione all’entrata del 9° mese.
Solitamente è quest’ultima l’opzione maggiormente utilizzata. In tal caso, dunque, l’inizio del congedo viene ritardato di un solo mese ed entro l’inizio del 9° mese le opzioni possibili sono due:
- il medico autorizza il rinvio del congedo di maternità di un altro mese accertando che non ci sono rischi per la salute di mamma e bambino. In questo caso, dunque, si potrà utilizzare il congedo tutto dopo il parto, quindi fino al compimento del 5° mese di età del bambino;
- il medico non autorizza un ulteriore rinvio, quindi la lavoratrice dovrà iniziare il periodo di maternità obbligatoria secondo la formula 1+4. In tal caso il rientro al lavoro è previsto al compimento del 4° mese del bambino.
Maternità ritardata a dopo il parto: a chi inviare il certificato?
Nella circolare 148/2019 si legge anche che la documentazione medico-sanitaria va presentata - in originale - direttamente allo sportello della struttura territoriale.
In alternativa, è possibile inviare la certificazione medica per mezzo di raccomandata, in plico chiuso e riportante la dicitura “Contiene dati sensibili”, all’indirizzo della struttura territoriale competente.
Maternità ritardata a dopo il parto: qual è l’ultimo giorno di lavoro?
Per quanto riguarda l’ultimo giorno di lavoro fa fede quanto indicato nel certificato medico. Nel certificato, infatti, potrà essere attestata esplicitamente l’assenza di pregiudizio alla salute fino alla data presunta del parto ovvero fino all’evento del parto qualora dovesse avvenire in data successiva a quella presunta.
Ne consegue che se le certificazioni conterranno come solo riferimento la data presunta del parto, lo svolgimento dell’attività lavorativa si potrà protrarre fino al giorno precedente della stessa. Di conseguenza, la scadenza del congedo di maternità non è fissata al compimento del 5° mese di età del bambino, in quanto bisognerà fare ritorno al lavoro esattamente 5 mesi dopo la data presunta del parto.
Prendiamo come esempio una lavoratrice con data presunta il 20 gennaio per la quale il parto effettivo avviene il 30 gennaio. Nel caso in cui il certificato del medico contenga il solo riferimento alla data del 20 gennaio, e non ci sia successivamente un altro certificato che autorizza a restare al lavoro fino alla data effettiva del parto, l’ultimo giorno di lavoro sarà il 19 gennaio. Automaticamente dovrà fare ritorno al lavoro il 20 giugno, e non il 30 giugno (data in cui il figlio compie il 5° mese).
Cosa succede se la lavoratrice rinuncia alla possibilità di godere della maternità dopo il parto?
Attenzione a quanto segue: come spiegato chiaramente dalla circolare INPS 48/2019, qualora la lavoratrice in un successivo momento manifestasse - sia espressamente che implicitamente - la decisione di non volersi più avvalere della suddetta opzione, allora il congedo di maternità indennizzabile “sarà computato secondo le consuete modalità”.
Ne consegue che i periodi ante partum lavorati prima della rinuncia saranno computati come periodi di maternità, ma non saranno indennizzati in quanto di fatto la lavoratrice non si è astenuta dall’attività lavorativa.
Esempio: Tizia entra all’8° mese il 1° ottobre e in accordo con il medico decide di lavorare fino alla data presunta del parto. Tuttavia, dopo 15 giorni decide di mettersi in congedo: ebbene, questo avrà inizio comunque il 1° ottobre, anziché il 15, e i quindici giorni lavorati non saranno comunque indennizzati.
Di fatto questi 15 giorni andranno persi.
Maternità dopo il parto: cosa succede in caso di malattia?
L’unico caso in cui i giorni lavorati si aggiungono al periodo di congedo post partum è quello della malattia. L’insorgere di una malattia della dipendente, anche di un solo giorno, comporta infatti l’impossibilità di avvalersi della flessibilità per il congedo di maternità.
Ne consegue che alla data d’insorgenza dell’evento di malattia scatta subito il congedo di maternità obbligatorio. Tuttavia, in questo caso i giorni lavorati si aggiungono al periodo post partum.
Pensiamo, alla stessa lavoratrice di prima. Tizia entra all’8° mese il 1° ottobre e sceglie di avvalersi della flessibilità. Il 15 ottobre tuttavia si ammala e ha immediatamente inizio il congedo di maternità. Tuttavia, questa non dovrà tornare al lavoro immediatamente al compimento del 5° mese del figlio, in quanto potrà disporre di altri 15 giorni (ossia quelli lavorati prima dell’insorgere della malattia).
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