L’ultima riunione della Fed, la diffusione della variante Omicron e l’impatto di questa sull’economia e l’inflazione: tra microeconomia e mercati azionari, alcune riflessioni per il 2022.
Mercoledì 15 dicembre ha avuto luogo l’ultima riunione Fed del 2021. La Fed ha raddoppiato il ritmo della riduzione dei suoi acquisti di asset, con gli acquisti netti di asset che ora dovrebbero terminare a metà marzo. Inoltre ha segnalato un maggior numero di rialzi dei tassi nel triennio 2022-2024. Probabilmente ci saranno tre aumenti di 25 pb l’anno prossimo, poi tre aumenti nel 2023 e due aumenti nel 2024.
La proiezione mediana della Fed per il livello target del tasso dei Fed funds entro la fine del 2024 è ora del 2%. L’atteggiamento più aggressivo della Fed è basato su: un’inflazione più alta di quanto previsto in precedenza (la parola «transitorio» è stata ora eliminata) e sull’economia più forte e un più rapido miglioramento del mercato del lavoro rispetto alle previsioni di pochi mesi fa.
La BCE invece, secondo quanto ha detto il capo economista di Standard&Poor Broyer il 14 dicembre scorso, aspetterà la primavera del 2024 per iniziare ad alzare i tassi dopo aver dato il via alla riduzione degli acquisti di titoli che dovrebbe iniziare dalla fine del 2023.
Questo significa che, «ceteribus paribus» il differenziale tra i tassi overnight tra dollaro ed euro che attualmente si situa a 50bps (0% / -0.50%) a fine 2023 dovrebbe raggiungere il livello di 2.5% (2% / -0.50%), per poi affievolirsi nel 2024 quando anche la BCE inizierà ad alzare i tassi.
L’immediata conseguenza di tutto ciò è che il dollaro ha solo iniziato il suo trend di rafforzamento sull’euro e che nel corso del 2022 il livello del cross euro/dollaro potrebbe portarsi agevolmente in area 1.05 che è più o meno il livello della fine del 2016.
Investire in Treasury e in obbligazioni corporate inv. grade di bassissima duration potrebbe essere una scelta giusta già da ora. Senza spostarsi sulla parte lunga della curva (7anni -10anni) che potrebbe essere danneggiata dalla volatilità dei rendimenti a lungo termine. Diamo ora un’occhiata allo scenario macro-economico.
L’impatto della variante Omicron sull’economia
Già da diverse settimane l’Europa ha dovuto fare i conti con una nuova ondata di Covid, portando alcuni paesi a inasprire le restrizioni sanitarie (Germania, Danimarca, Finlandia), persino a reintrodurre il coprifuoco notturno (Paesi Bassi) o la chiusura totale (Austria dal 22 novembre). Il rilevamento della nuova variante Omicron in Sudafrica costituisce un ulteriore rischio.
La sua comparsa potrebbe frenare la ripresa economica che era in corso, in particolare in Asia e Oceania. Ma se provocasse una nuova ondata di “lockdown” nei paesi occidentali, potrebbe anche rallentare il processo di normalizzazione delle politiche monetarie da parte delle banche centrali: un fattore al quale i mercati azionari sono estremamente sensibili da sempre.
In una reazione istintiva, molti paesi hanno annunciato la sospensione dei voli o la chiusura delle frontiere ai viaggiatori provenienti dall’estero. Per il momento, tuttavia, l’impatto economico di questi ultimi sviluppi dovrebbe essere limitato, ancor più considerando che la variante Omicron ha effetti lievi sulle condizioni generali del paziente e assolutamente insignificanti nei soggetti che hanno ricevuto la terza dose di vaccino, quindi, non paragonabile alla pericolosità della variante Delta.
Tuttavia, l’inasprimento delle restrizioni sanitarie, fintanto che non si tratta di chiusure totali, non dovrebbe causare un forte rallentamento dell’attività produttiva globale.
L’incertezza derivante dall’espansione della variante Omicron in tutto il mondo occidentale, potrebbe aumentare la volatilità azionaria nelle prossime settimane, e quindi potrebbe esserci un rischio di ribasso per la fine dell’anno o nella prima metà di gennaio 2022, ma rimane un rischio misurato stante l’abbondante liquidità che inonda il mercato azionario in tutto il mondo.
Se lo storno arriverà, guardate sempre alle medie mobili a 100gg e a 200gg : allorquando i listini si avvicinano ad esse diventerà una occasione per comprare. Guardando indietro sino al marzo 2020, l’esperienza degli ultimi 18 mesi mostra che la capacità di adattamento veloce nelle tecniche di produzione dei vaccini giustificano un cauto ottimismo per il trend azionario di fondo, trend che rimane pur sempre rialzista.
Anche se la “sbornia “ derivante dalla crescita utili del 2021 sarà difficilmente ripetibile nel 2022. Ad esempio, le stime di Yardeni Research che a gennaio 2021 aveva predetto un +25% di crescita dell’EPS YoY si sono avverate e per questo motivo il mercato azionario ha fatto un bel rally nel 2021 : un rally che molti analisti avevano predetto a inizio anno. Ma per il 2022 Ed Yardeni prevede una crescita dell’EPS delle azioni S&P500 poco al di sotto del 10% annualizzato.
Si ritorna quindi su tassi di crescita degli utili annualizzati (2022 su 2021) più “umani” e più vicini alla media storica trentennale dell’indice S&P500.
Il rally del +22% dell’S&P500 dell’anno 2021, per chi ne ha goduto essendo pienamente investito in azioni, difficilmente sarà ripetibile nel 2022: influenzato da banche centrali più restrittive e dal diffondersi della variante Omicron, esso sarà un rally più leggero, attraversato da storni e repentini ripristini del trend rialzista.
È certo che, ultimamente, i prezzi azionari sono saliti di molto e l’emergere di questa nuova variante è tanto più problematica dal momento che le condizioni di mercato sono tese in vista della fine dell’anno.
Un altro evento interessante è che il mercato dei bond governativi è tornato ad essere, ma solo temporaneamente, il “bene rifugio” per eccellenza. Negli ultimi tempi l’avversione al rischio e la volatilità sono aumentate significativamente, spingendo gli investitori a cercare beni sicuri e liquidi. Basta osservare come i rendimenti dei bond sovrani sono crollati (il decennale USA scende dall’1.7% del 21.10.2021 all’1,45% della metà di dicembre), e anche gli spread di obbligazioni corporate sopra la curva swap (un altro indicatore di aumento del rischio) si sono ampliati in pochi giorni, a partire dalla fatidica data di venerdì 26 novembre 2021.
Dispersione delle performances giornaliere (con rialzi e ribassi che si susseguono in volumi scarsi di scambi) e fuga verso la liquidità saranno probabilmente le parole d’ordine nelle ultime settimane del 2021 e forse nella prima metà di gennaio. Ma questi aumenti di volatilità, soprattutto se rapidi e intensi, saranno occasioni di ingresso nel mercato azionario.
Solo dopo lo storno di gennaio, e soprattutto se la minaccia Omicron si sarà rivelata solo un “bluff”, allora avrà luogo una qualche forma di normalizzazione del trend azionario, caratterizzata da una rinnovata propensione al rischio e da un ritracciamento dei tassi di interesse al rialzo, in particolare in Europa e in secondo luogo in USA, con il ritorno dell’attenzione sull’inflazione e sulla crescita.
Quali saranno le condizioni macro-economiche del 2022?
Osservando gli ultimi dati relativi agli indicatori anticipatori, al tasso di disoccupazione e al tasso di utilizzo della capacità degli impianti si può dire che questi numeri sono generalmente positivi e coerenti con una continuazione dello slancio di crescita costante per l’economia globale anche nel 2022, sebbene ciò avverrà a ritmi più lievi del 2021. Quello che ha detto Powell per l’economia USA il 15 dicembre può essere agevolmente esteso – con le dovute precauzioni – alle economie dei paesi sviluppati.
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Ci sono anche segni molto timidi che le strozzature sul lato dell’offerta possano diventare un po’ meno strette nel corso della prima metà del 2022, permettendo alla crescita mondiale di diventare più frizzante nel corso della seconda metà del 2022. Tuttavia per il momento l’inflazione continua a crescere fortemente nelle economie avanzate (oltre il 6% l’ultimo dato del CPI in USA su base annualizzata) e i prezzi elevati dell’energia ne sono il motore principale.
La crescente pressione inflazionistica ha spinto diverse banche centrali a iniziare una diversa «dialettica verbale» che fa intuire delle strette monetarie nei prossimi 24 mesi, anche se saranno dei restringimenti molto graduali e asincroni fra i diversi paesi del mondo.
Al di là delle inevitabili correzioni di breve periodo e momentanei “spike” di volatilità, è difficile quindi ipotizzare un “bear market “ prolungato per il 2022: se le aziende continueranno a fare profitti il mercato azionario dovrà tenerne conto.
Rally azionario e rally dei profitti: una storia consolidata
Lo storno del 26 novembre 2021 inaugura una fase di consolidamento dei listi e fa “pulizia” degli eccessi rialzisti in atto. Tuttavia, è assolutamente prematuro parlare di inversione del trend rialzista di lungo periodo del mercato azionario, perché dal 2012 a oggi tutti i rialzi dei listini hanno alle spalle una solida crescita dell’utile per azione, cioè dei profitti aziendali. I prezzi salgono perché le aziende fanno crescere cash-flow ed EBITDA, e non perché ci sia un’euforia incontrollata.
Ovviamente il lavoro “sotterraneo” delle banche centrali con il loro programma di quantitative easing e la discesa dei tassi reali in zona negativa sono il motore principale sia dei profitti che del rally azionario, perché rende appetibile il tasso di dividendo azionario rispetto al tasso di rendimento dei titoli di Stato.
I mercati azionari in vero trend ribassista sono quelli che anticipano recessioni globali, un evento che per il 2022 risulta difficile che si realizzi. La ripresa globale continua a progredire, ma non avrà i ritmi del 2021, un anno in cui la crescita annualizzata è stata eccezionale perché si confronta con il 2020, anno in cui la pandemia dispiegò tutto il suo «effetto mortale» su consumi e investimenti.
Inoltre, la crescita 2022 non sarà più “sincrona”, ma sarà “asincrona” cioè con diverse velocità di rimbalzo a seconda delle aree geografiche.
Alcune parti dell’economia globale stanno rimbalzando rapidamente, ma altre rischiano di rimanere indietro. In particolare rimarranno indietro i Paesi emergenti che sono a basso reddito pro-capite, in cui i tassi di vaccinazione sono bassi, in cui nelle aziende i lavoratori vivono in settori ad alta intensità di contatto (fattore che che favorisce la proliferazione del Covid-19 e delle sue varuianti), e dove la domanda interna deve ancora recuperare completamente.
Il rafforzamento del dollaro e il rialzo dei tassi Fed dovrebbe nuocere alle obbligazioni dei paesi emergenti sia in valuta locale che in dollari, soprattutto per i Paesi emergenti che emettono in dollari (costoro avranno infatti un aumento del costo del debito estero emesso in dollari) e quindi è necessaria una cautela su questa asset class molto particolare .
Se a ciò aggiungiamo una curva del treasury USA in rialzo e una economia cinese in raffreddamento al +5.1% di PIL nel 2022 otteniamo un prospetto sfavorevole per il 2022 anche sull’inbestimento azionario nei Paesi emergenti.
Che ruolo giocherà l’inflazione nel 2022?
Parliamo di inflazione ora. Pressioni inflazionistiche più forti e durature sono emerse in tutte le economie in una fase insolitamente precoce nella velocità della ripresa 2021, e – a sorpresa – si sono manifestate talune carenze di manodopera che non sussistevano nel mondo globalizzato pre-pandemia. A causa di un aumento del costo del trasporto, i costi dei generi alimentari e dell’energia sono aumentati bruscamente, con gli impatti più forti sulle famiglie a basso reddito, così come i prezzi dei beni durevoli (automobili, computer,) dove si concentrano maggiormente le strozzature dell’offerta di componentistica industriale (chip e circuiti elettronici in generale).
Ma sia il FMI che l’OCSE ritengono che con la normalizzazione dei tassi di investimento ai livelli pre-pandemia, con l’espansione della capacità produttiva e dell’utilizzo degli impianti e con il ritorno di un maggior numero di persone alla forza lavoro, i vincoli e le carenze sul fronte dell’offerta dovrebbero diminuire gradualmente fino al 2° semestre del 2022. E di lì anche l’inflazione.
Con un’inflazione in discesa, si prevede che la ripresa globale continui, ma con una crescita del PIL globale che si modererà nel tempo, dal 5,6% nel 2021 al 4½ % nel 2022 e al 3¼ % nel 2023 (abbiamo fatto una media delle previsioni del FMI e dell’OCSE più recenti).
Per realizzare tali previsioni, fondamentali saranno gli sforzi di vaccinazione a livello globale, che consentiranno il completo ritiro delle restrizioni alle attività transfrontaliere entro la prima metà del 2022. Inoltre la continuazione da parte dei governi delle politiche macroeconomiche di sostegno, le condizioni finanziarie accomodanti assicurate dalle banche centrali e il minore risparmio delle famiglie dovrebbero rafforzare la domanda globale nel 2022.
Quindi lo ribadiamo: nessuna recessione nel 2022.Tuttavia, ci si aspetta che la ripresa rimanga disomogenea. Si prevede che la maggior parte delle economie avanzate torneranno allo stock di prodotto interno lordo pre-pandemia entro il 2022, ma con un maggiore debito debito pubblico, mentre per le economie emergenti ciò accadrà nel 2023.
Con le premesse di cui sopra, anche l’inflazione, dopo un breve semestre di “surriscaldamento” dovrebbe essere più bassa di quanto fosse prima della pandemia in molti paesi, e quindi generalmente rimarrà in linea con gli obiettivi delle banche centrali. Sia l’OCSE che il FMI sposano quindi la tesi della inflazione “temporanea” (escluso per l’area degl USA).
Si prevede che l’inflazione dei prezzi al consumo raggiunga il picco entro la fine del 2021 oppure entro i primi 2 mesi del 2022, per poi moderarsi verso livelli piùcoerenti con la minor crescita economica 2022. Nelle economie dell’OCSE nel loro complesso, l’inflazione annuale dei prezzi al consumo dovrebbe scendere a circa il 3,5% entro la fine del 2022, da quasi il 5% alla fine del 2021, e scendere ulteriormente al 3% nel 2023.
Si prevede che i tassi di disoccupazione scendano gradualmente fino al picco del 2023, anche se in misura diversa a seconda dei paesi, con la disoccupazione media a livello OCSE che scende al 5% a fine 2023, al di sotto del tasso pre-pandemia di fine 2019.
I rischi sulla crescita? Ovviamente permangono sull’ eventuale comparsa di forme aggressive del covid19 e non frenate dai vaccini attuali, ma anche sull’aumento incontrollato dei prezzi delle materie prime e del petrolio.
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