Il punto della situazione sui mercati finanziari: cosa aspettarsi nei prossimi anni? L’azionario diventerà meno rischioso dell’obbligazionario governativo a lunga durata.
Giunti al termine della prima settimana del mese di novembre 2021 facciamo il punto della situazione sui mercati finanziari. Nel mese di ottobre, l’S&P 500 ha guadagnato il 7%, raggiungendo nuovi massimi che la maggior parte di noi non si aspettava. Euforia? Se è questo il caso, è giustificata dai profitti trimestrali relativi al 3° trimestre. Soldi veri prodotti dalle aziende americane, che hanno aumentato utili e cash flow, dopo che almeno l’85% delle società dell’indice ha superato le attese degli analisti.
Eppure i catastrofisti (una razza di analisti e investitori che non morirà mai) ci avevano detto che gli effetti negativi del rincaro dell’energia sul potere di spesa dei consumatori, l’indebolimento della crescita cinese e il rialzo dei tassi di interesse sulle curve governative avrebbero fatto crollare i mercati.
Non è accaduto. Ma, nonostante ciò, le turbolenze che stanno caratterizzando il mercato obbligazionario possono essere un cattivo presagio per i titoli growth, altamente sensibili alle aspettative di aumento dei tassi, al peggioramento delle prospettive di inflazione e a qualsiasi riduzione dei programmi di stimolo delle banche centrali. Tutti questi scenari sarebbero teoricamente sfavorevoli per i profitti futuri attualizzati delle imprese.
Ma per il momento il rialzo dei tassi duraturo è rimandato. Nella prima settimana di novembre, il rendimento del decennale USA (nella fattispecie il Treasury 1,25% 08/2031) è addirittura ritornato indietro all’1,45% al 5 novembre, dopo che aveva segnato 1,70% il 21 ottobre).
Perché i mercati non sono crollati
Ci sono stati alcuni motivi importanti per cui i mercati azionari sono rimasti imperturbati davanti a tutti i fattori negativi di cui sopra.
In primis la stagione degli utili del terzo trimestre mostra che le aziende USA si stanno adattando facilmente all’incremento dei costi di produzione, con margini di profitto (EBITDA/Fatturato) mediamente in aumento al 12%-13%, contro ogni aspettativa. Il loro pricing power rimane intatto e i consumatori accettano questi rincari.
In secundis, nonostante le turbolenze del mercato obbligazionario, i tassi reali statunitensi sono rimasti in territorio ampiamente negativo (come già evidenziato in questo approfondimento), sostenendo così elevati multipli prezzo/utili (P/E) per il comparto azionario.
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In terzo luogo, infine, il segnale dato dalla Fed nell’ultima riunione è stato sostanzialmente “distensivo”, annunciando da un lato la riduzione degli acquisti di titoli sul mercato, ma dall’altro lato mostrandosi pronta a sostenere l’economia qualora i segnali occupazionali e i consumi dovessero nuovamente inficiare in senso negativo la ripresa in atto. La Fed ha un ottimo “stile comunicativo”, non c’è dubbio. Evita di gettare nel panico ma al tempo stesso si mostra vigilante sulla ripresa.
Il sostegno delle banche centrali sui mercati finanziari
E sono sempre più convinto (dalla crisi Lehman del 2008 in poi) che noi gestori di portafoglio abbiamo facoltà di investire sui mercati azionari perché le banche centrali ci permettono di farlo: senza i loro interventi in questi ultimi 13 anni non so proprio quanti default a catena avrebbero flagellato il mercato azionario e il mercato obbligazionario, rendendo i crolli in borsa e le correzioni ben più pesanti e più prolungate rispetto a quelli ai quali abbiamo assistito.
La domanda dei consumatori sarà un fattore chiave della tenuta dei mercati finanziari. Se la crescita azionaria è imputabile alla ripresa degli utili, essa è stata certamente favorita dallo sblocco della domanda rimasta inespressa dei consumatori, ora che le restrizioni anti Covid-19 sono state in gran parte revocate, sostenendo i consumatori verso una ripresa nei consumi.
La questione fondamentale è che le prospettive per i consumatori dei mercati sviluppati rimangono molto favorevoli, visto il miglioramento delle condizioni sul mercato del lavoro, l’attuale volume di risparmio in eccesso e il livello storicamente elevato della ricchezza netta delle famiglie che durante il periodo del lockdown non hanno comprato beni e servizi e non sono andati in vacanza.
Attesa per l’impatto dei piani infrastrutturali USA e PNRR
Negli USA poi sono in arrivo questi due piani infrastrutturali a medio termine: un piano da 1,2 trilioni è già stato approvato dal Congresso USA e prima di Natale ne sarà approvato un altro da 1,8 trilioni, per interventi su autostrade, rete elettrica, rete idrica, rete internet, rete ferroviaria, assistenza sanitaria, edilizia scolastica, e sviluppo di fonti rinnovabili.
Si tratta di 3 trilioni di dollari che rappresentano il 13,2% dello stock di PIL degli USA stimato dal FMI a fine 2021 (oltre 22,8 trilioni di dollari). Un impegno notevole, che non tarderà a tradursi in più occupazione, più consumi e più investimenti. Ciò dovrebbe sostenere la crescita dei ricavi aziendali non solo nel 2022, ma almeno fino al 2025 - 2026.
Qualcosa del genere dovrebbe accadere anche nell’area euro con il recovery plan da 750 mld di euro. Come già detto, per chi è alla ricerca di un rendimento al di sopra dell’inflazione, non c’è alternativa al mercato azionario nel medio periodo.
Cosa aspettarsi sui mercati nei prossimi anni
Ricordiamocelo: nei prossimi anni ci sarà un’inversione del concetto di “asset rischiosi”; il mercato azionario sarà meno rischioso del mercato obbligazionario governativo a lunga durata, se crediamo che l’inflazione e la crescita economica sono destinate a durare nel tempo. È il contrario di ciò che abbiamo sempre creduto (le obbligazioni statali sono più sicure delle azioni, e sono adatte a chi vuole rischiare poco): con un rialzo dei tassi un bond decennale o ventennale perde valore drasticamente. L’inflazione infatti “brucia” il valore del debito ed esalta il valore dell’equity.
Se per il medio periodo le azioni vinceranno sulle obbligazioni, per il breve periodo comunque gli occhi devono essere puntati sulle banche centrali.
Dobbiamo accettare un po’ di volatilità nel breve periodo sui mercati azionari.
A influenzare i mercati finanziari nei prossimi 6 mesi sarà indubbiamente la tanto attesa riduzione delle misure di stimolo monetario che hanno sostenuto le economie durante la pandemia. Nell’ultimo decennio infatti si è registrata una forte correlazione tra i bilanci delle banche centrali e la performance del mercato azionario, guidata dall’espansione sottostante dei multipli prezzo/utili.
Con il probabile inizio del tapering degli acquisti di obbligazioni da parte della Fed entro metà novembre, la marea di liquidità in eccesso quasi illimitata sta iniziando a recedere, mentre gli istituti di emissione di altri mercati sviluppati hanno già avviato il ciclo di innalzamento dei tassi.
Nel complesso, gli investitori dovrebbero godersi il rally finché dura, ma rimanendo attenti alla possibilità che, nei prossimi 6 mesi, le forze delle banche centrali, se non gestite in maniera ottimale, potrebbero avere effetti destabilizzanti durante il processo di rimozione degli stimoli.
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