Negli Stati Uniti si assiste a un nuovo boom del mercato immobiliare ma rispetto al 2007 non è una bolla. Vediamo perché.
I numeri sul mercato residenziale negli Stati Uniti confermano di mese in mese un boom che è in atto dallo scoppio della pandemia e che non accenna a rallentare. Le vendite delle case sono cresciute ad un livello che non si vedeva da 14 anni, e il prezzo mediano nazionale è balzato oltre 300mila dollari. (Il prezzo mediano è quello che si colloca all’esatto centro della graduatoria dei prezzi, ossia un prezzo che ha uno stesso numero assoluto di prezzi più alti e di prezzi più bassi).
Gli inizi della corsa delle quotazioni, ma più ancora degli affari chiusi, era stata folgorante un anno fa, con una crescita delle vendite del 21% nel giugno 2020 rispetto al mese di maggio, superata poi, immediatamente, dal +25% di luglio rispetto a giugno. Sono stati record di incrementi percentuali delle transazioni mai visti dal 1969, e che hanno esercitato una certa pressione sulle quotazioni.
L’indice S&P CoreLogic Case-Shiller, il più autorevole termometro del mercato residenziale degli Stati Uniti, ha evidenziato che nel marzo di quest’anno il guadagno su 12 mesi è stato del 13,2%, relativamente alle 10 maggiori aree metropolitane (Boston, Chicago, Denver, Las Vegas, Los Angeles, Miami, New York, San Diego, San Francisco e Washington, DC). In febbraio, l’incremento su un anno prima era stato dell’11,7%. E l’indice S&P CoreLogic Case Shiller piu’ ampio, che comprende 20 metropoli (le dieci maggiori citate più’ Atlanta, Charlotte, Cleveland, Dallas, Detroit, Minneapolis, Phoenix, Portland, Tampa e Seattle) ha fatto ancora meglio: +13,3% da marzo 2020 a marzo 2021 e +12% da febbraio 2020 a febbraio 2021.
In marzo Phoenix, San Diego e Seattle hanno riportato i più alti incrementi di prezzi anno su anno tra le 20 città dell’indice. Phoenix ha guidato il gruppo con + 20,0% su base annua, seguita da San Diego con un aumento del 19,1% e Seattle con +18,3%. In coda ci sono Las Vegas con +10,6%, Minneapolis con + 11% e Atlanta con +11,2%. Tranne Los Angeles (+13,4%), le altre maggiori aree metropolitane nazionali hanno registrato tutte un dato di guadagno inferiore (lievemente) alla media dell’intera nazione: i prezzi a New York sono infatti saliti del 12,3%, e quelli di San Francisco, Washington DC e Miami del 12,2%.
Siamo tornati alla bolla immobiliare del 2007?
Osservando questa generalizzata crescita dei prezzi e delle compravendite verrebbe naturale andare con la mente alla bolla del 2007, e al conseguente terrore di un bis con conseguenze sistemiche. Sbagliato, dicono operatori ed economisti. Ed anche se la battuta “stavolta è differente” è sempre un azzardo per un commentatore chiamato a interpretare una evidente bolla del mattone, “stavolta” ci sono argomenti ad abundantiam per sostenere che il mercato immobiliare del 2020-2021 è, oggettivamente, del tutto “differente” dal 2006-2207.
La storia di Anthony Lamacchia, citata dal Wall Street Journal in una sua approfondita inchiesta sul campo di un paio di mesi fa, proprio alla ricerca delle caratteristiche specifiche del boom attuale, e’ convincente. Lamacchia è un broker immobiliare vicino a Boston, entrato nel settore nel 2004. Allora, ha raccontato, gli acquirenti di case le scambiavano con case più grandi e più costose dopo appena un anno. E molti compratori versavano piccoli acconti, o anche nulla. Quando i prezzi delle case hanno smesso di aumentare, il mercato è crollato.
Nel 2009, La Macchia ricorda quale fosse il suo cruccio: lavorare con i clienti disperati che tentavano di liberarsi delle case che lui stesso aveva da poco aiutato a comprare. Veniamo ad oggi. “La domanda di alloggi nei sobborghi di Boston è più forte di quanto io non abbia mai visto”, ha detto il broker. La sua ditta, Lamacchia Realty, ha raggiunto lo scorso anno, per la prima volta, un miliardo di dollari di vendite. E sono cambiati gli acquirenti.
Prima di tutto godono personalmente di un credito più elevato di allora: ossia sono più affidabili quanto a depositi e riserve finanziarie. A conferma di ciò, versano più soldi d’anticipo. “Se la casa costa un milione, ne mettono subito la metà in contanti. Mai visto prima”, dice Lamacchia. Nei primi cinque anni del terzo millennio, gli standard allentati dei prestiti ipotecari avevano invece consentito ai mutuatari con una storia creditizia scadente di comprare case al di sopra delle loro possibilità, e spesso con mutui “tranello” che richiedevano pagamenti bassi nei primi anni del prestito. I costruttori, attratti dal business crescente, ingolfarono il mercato con un eccesso di offerta di case.
Le società finanziarie, a loro volta, trasformavano questi mutui rischiosi (cosiddetti subprime, destinati cioè a una clientela di livello ‘sub’, inferiore) in obbligazioni che collocavano tra gli investitori. Quando i proprietari di case, in gran numero, hanno iniziato a non pagare le rate dei propri mutui, i prestatori di denaro (banche e finanziarie erogatrici) hanno subito grosse perdite e i fallimenti a catena hanno bloccato l’intero sistema finanziario. Molti proprietari di case hanno pagato un prezzo salatissimo. Secondo una stima del 2015 della National Association of Realtors (l’associazione nazionale degli intermediari e broker immobiliari), tra il 2006 e il 2014, circa 9,3 milioni di famiglie hanno subito un pignoramento, hanno ceduto la loro casa a un ente prestatore, o hanno dovuto vendere in forte perdita.
L’attuale boom immobiliare, secondo operatori ed economisti, poggia insomma su basi molto più stabili di quello precedente e pone minori rischi sistemici. Se esiste un effetto socialmente negativo nella attuale situazione, rafforza la tesi che “stavolta è differente”: le barriere all’ingresso sono più alte, ed è più difficile comprare per chi non possiede già una casa e può partire con una certa base finanziaria. In altre parole, è un boom generato da chi se lo può permettere.
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