I sondaggi tra i repubblicani hanno già lasciato intendere chi sarà la nuova stella del partito, per le prossime presidenziali del 2024: il governatore della Florida, Ron DeSantis.
I sondaggi tra i repubblicani per chi sarà il loro nominato nella corsa alla presidenza del 2024 hanno già estratto un candidato che svetta su tutti. È il governatore della Florida Ron DeSantis, italo-americano, che ha messo in fila tutti gli altri nomi “chiacchierati” nella rilevazione di qualche giorno fa, curata da Tony Fabrizio della Fabrizio-Lee (senza Trump in lizza).
È vero che Fabrizio è stato in passato il sondaggista di fiducia dello stesso DeSantis, ma i distacchi sono sorprendenti se si considera che sono passati solo sei mesi dal giuramento di Joe Biden, e soprattutto che il campo dei “pretendenti” comprende nomi che avevano avuto un rilievo, e posizioni governative, di alto livello politico fino a fine 2020.
Quali sono i candidati repubblicani?
DeSantis è “solo” un governatore, ma è stato scelto dal 39% dei repubblicani interpellati, un balzo del 22% rispetto al 17% della precedente rilevazione di febbraio dello stesso Fabrizio. Dietro di lui, è finito nientedimeno che l’ex-vicepresidente Mike Pence, che gli era davanti in febbraio con il 19%, ed ora è sceso di 4 punti al 15%.
Gli altri, poi, sono in una scia di decrescente rilevanza: il senatore Ted Cruz, che aveva conteso la nomination di Trump fino all’ultimo nel 2016, è al 7%; Nikki Haley, che è donna e di origini indiane, seppure indicata come un pezzo da novanta per queste caratteristiche personali e la brillante performance nel ruolo di ambasciatrice di Trump all’ONU, non è andata oltre il 4%; l’ex candidato alla presidenza (nel 2012, quando ha perso contro Obama) Mitt Romney si è fermato al 3%: e ciò, essendo Romney il solo repubblicano che ha votato per l’impeachment di Trump ed è il rappresentante di maggiore spicco dell’apparato tradizionale del vecchio partito dei Bush, rivela quanto basso sia l’appetito della base repubblicana per un ritorno al vecchio establishment del GOP.
Anche Mike Pompeo, pur essendo stato il segretario di Stato che ha aiutato Trump ad ottenere l’importante vittoria, in politica estera, dei Patti di Abramo (fra Israele e gli arabi), ha avuto solo il 2%, a fianco del senatore della Sud Carolina Tim Scott e della governatrice del Sud Dakota Kristi Noem. I senatori della Florida Marco Rubio e Rick Scott, il senatore dell’Arkansas Tom Cotton e il governatore del Maryland Larry Hogan chiudono la fila con l’1%.
Una stella sembra già nata: Ron DeSantis
Insomma, una stella pare essere già nata nel GOP, e la spiegazione è semplice. Ron è il politico conservatore che assomiglia di più a Donald. Anzitutto per carattere personale: è irriverente verso i media e disdegna la correttezza politica. E, attraverso il potere che gli dà la carica che copre, è anche un decisionista senza timidezze ed è entrato a gamba tesa su tutte le questioni che fanno ”titolo” sul piano nazionale.
Ha sostenuto le iniziative del parlamento del suo Stato per introdurre alcune regole nei meccanismi di voto: quelle che i Democratici chiamano ‘restrizioni’ ma che per i Repubblicani sono misure per garantire l’integrità e la correttezza nei seggi.
Ha spinto per una legge che elimini la possibilità, per le municipalità, di proclamarsi “santuari” e di dare protezione agli immigrati clandestini. È riuscito a far passare il divieto di insegnare nelle scuole la cosiddetta “Teoria Critica della Razza”, che propugna in classe il nuovo razzismo anti-bianchi. E, sempre in polemica con i liberal su una questione che tocca le famiglie con figlie che fanno sport, il governatore repubblicano ha firmato durante la settimana dell’Orgoglio Omosessuale una legge che ostacola la partecipazione alle gare femminili dei transessuali, i giovani nati maschi e diventati poi femmine.
DeSantis ha pure un vantaggio legato al calendario politico. Dovendo correre ancora per il secondo mandato da governatore della Florida nel novembre 2022, è già in campagna elettorale, ossia sotto i riflettori. Quindi hanno avuto grande risalto le misure citate che ha effettivamente preso, così come quelle che ha propugnato: per esempio, la lotta contro le censure ai personaggi politici da parte di Facebook e Twitter, due aziende che alimentano più di tutte l’ostilità dei conservatori per i big dell’High Tech. Altro bersaglio ricorrente di Ron è il dottor Fauci. Lo slogan “Don’t Fauci my Florida”, “Non trasformare la mia Florida nel paese di Fauci” è molto usato nel merchandising della sua campagna.
Qual è il futuro per i repubblicani?
Detto tutto questo su DeSantis, è ovvio che ogni ragionamento sulle prospettive dei candidati del GOP per il 2024 non può prescindere da ciò che Trump deciderà sul proprio futuro. Per ora, non ha detto che correrà, ma neppure che non lo farà. Fabrizio ne ha tenuto conto, ipotizzando la sua presenza nel lotto dei papabili in un sondaggio parallelo. Trump, in febbraio, ebbe il 51% di preferenze, ma ora la sua percentuale è scesa di 4 punti, al 47%, quindi sotto la maggioranza assoluta tra gli stessi repubblicani. Nello stesso sondaggio di Fabrizio, DeSantis, dal 7% che ebbe in febbraio, è balzato al 19% in luglio. In altre parole, il popolo di americani - repubblicani ma non solo - che aveva votato Trump nel novembre 2020, si è ristretto nelle preferenze per chi dovrebbe essere il candidato repubblicano nel 2024, nel contempo elevando DeSantis. La stella di Donald si offusca, quella di Ron brilla sempre di più.
Assurdo trarre conclusioni oggi, ma se Trump pensa alla rivincita contro Biden (o chi per lui) nel 2024, deve cominciare a preoccuparsi sul serio dell’avversario in casa sua.
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