Invece di spendere soldi nella TAV senza un’analisi costo-beneficio, l’Italia avrebbe potuto investire nella sicurezza per evitare le stragi da terremoto.
L’ultimo baluardo per evitare gli sprechi di una classe politica che ha condotto il paese sull’orlo del default è caduto. La TAV, nei termini in cui è stata realizzata e riproposta, rappresenta l’emblema della sciatteria e dell’assenza di visione strategica del decisore pubblico. Assenza di visione strategica vuol dire decidere di spendere risorse pubbliche sempre più scarse, prescindendo dalla utilità sociale e soprattutto dalle gravi emergenze che gravano, fonti di morte e distruzione in questo paese.
TAV rappresenta anche il paradigma della “discrezionalità del Principe tuttologo” e che nel contesto attuale rappresenta la continuità del sacco alle svuotate casse dello Stato. Nessuna delle opere pubbliche italiane è stata mai assoggettata a qualsivoglia valutazione.
Dopo la legge del 2012 di Monti, che obbligava alla valutazione, si arrivò al punto che bisognava anche calcolare nell’analisi economica il costo opportunità marginale dei fondi pubblici (linee guida analisi economica Ministero delle Infrastrutture anno 2015). Un parametro che consente a chi decide di optare per il progetto più utile. La doccia fredda però giunse subito dopo con il documento “Connettere l’Italia”, dove manca l’analisi di impatto prodotta da 120 mld di investimenti in opere pubbliche, quanta crescita e occupazione generano questi investimenti, e infine la bestemmia della assenza di qualsiasi previsione di traffico.
L’alta velocità italiana è il paradigma di un nuovo ossimoro, “l’anarchia istituzionale”. Le aporetiche di TAV, che rendono incredibile la decisione? La bocciatura della Corte dei Conti UE, “A European high-speed rail network: not a reality but an ineffective patchwork”, l’avv della Corte di Giustizia UE, l’Anticorruzione UE, il valore negativo delle analisi economiche, i 3,5 miliardi di perdite sui derivati sottoscritti a copertura dei prestiti TAV, l’esigenza indifferibile di usare i pochi fondi pubblici sulla grande emergenza sismica, idrogeologica e di adattamento dei territori agli effetti dei cambiamenti climatici.
Invece, l’inconsistenza di azione su questi settori, che si coniuga con la reiterazione delle bugie propalate sia per il tunnel in Val di Susa, che per la Genova/Milano e la Brescia/Padova: almeno 20 miliardi di investimenti.
Soldi che un decisore con la vista lunga e conscio della necessità di spendere le poche risorse ordinando le emergenze italiane avrebbe dovuto bloccare. Almeno su quelle che generano morti.
Negli ultimi ‘30 anni la Rete Sismica Nazionale ha registrato 45 terremoti di magnitudine superiore a 5.0 della scala Richter. L’Italia possiede il primato europeo per fenomeni sismici e su 1.300 sismi dagli effetti distruttivi (superiori all’ottavo grado della scala Mercalli) che sono avvenuti nell’area mediterranea, oltre 500 hanno colpito il nostro Paese. Il punto fondamentale della questione sismica italiana riguarda la fragilità del patrimonio edilizio e infrastrutturale.
L’Italia possiede tutti i dati e le conoscenze per ridurre la vulnerabilità sismica del territorio. L’emergenza primaria italiana è quella di mettere in sicurezza gli edifici che già esistono. Sappiamo che faglie e movimenti tettonici non si possono annullare, ma un’azione di messa in sicurezza diventa prioritaria. Terremoti di magnitudo superiore a 7 scala Richter in Giappone e California generano danni minimi.
La California è una delle zone a maggior rischio sismico del mondo, si trova lungo la cosiddetta cintura di fuoco del Pacifico, una zona caratterizzata da frequenti terremoti ed eruzioni vulcaniche estesa per circa 40.000 km tutto intorno all’oceano Pacifico.
L’Italia ha un patrimonio edilizio e infrastrutturale estremamente vulnerabile perché realizzato senza seguire criteri antisismici. Nel corso degli anni vi è stata una riclassificazione del territorio italiano in zone di alta, media e bassa sismicità. Per questo motivo abbiamo infrastrutture realizzate con criteri non sismici, perché al momento della progettazione si trovavano in una zona considerata non a rischio, ma che ora si ritrovano situate in zone di media pericolosità, e di conseguenza non rispettano le norme attuali collegate alla progettazione antisismica.
In Italia il 24 agosto 2016 un sisma di magnitudo 6.0, con epicentro vicino Amatrice, porta la morte di 298 persone oltre a danni ingentissimi alle cose. Abruzzo, 6 aprile 2009, terremoto di magnitudo 5.9 colpisce L’Aquila e muoiono 308 persone e la città de L’Aquila viene completamente distrutta. Elevato rischio sismico ed idrogeologico dovrebbero indurre a investire le scarse risorse pubbliche in questi settori, ancor più se si apprende che uno studio di Save the Children dal titolo “Ancora a rischio: Proteggere i bambini dalle emergenze” quantifica in circa quattro milioni e mezzo gli studenti soggetti all’obbligo scolastico che vivono in aree ad alta o medio-alta pericolosità sismica. 76 province su 110 nelle quali si trovano 17.180 edifici scolastici.
La sicurezza degli edifici scolastici non riguarda solo le strutture in zone sismiche: secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, solo il 53,2% delle strutture possiede il certificato di collaudo statico e il 53,8% non ha quello di agibilità/abitabilità. Queste le emergenze colpevolmente ignorate nel mentre si distribuiscono risorse su infrastrutture non assoggettate ad alcuna valutazione. Prendiamo infine atto che il tunnel di base in Val di Susa lungo 57,5 km interessa l’Italia per 12,5 Km. La Francia pagherà il 42,1% del costo totale del tunnel e l’Italia il 57,9%. Tale iniqua attribuzione comporterà un regalo ai francesi da parte dei contribuenti italiani di 2,2 miliardi di euro e un costo unitario a km pari a 280 milioni di euro per l’Italia e 60 milioni per la Francia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA