Viktor Orban alza le pretese per togliere il veto del’Ungheria al sesto pacchetto di sanzioni Ue che prevede, come piatto forte, lo stop all’importazione del petrolio russo: non solo soldi e più tempo, il leader magiaro ha provocato gli altri Stati membri rivendicando la città croata di Fiume.
Sarà questa guerra nel cuore dell’Europa che ci ha portato a ipotizzare scenari che ormai credevamo essere per noi soltanto un ricordo, ma le ultime parole di Viktor Orban in qualche modo ci riportano indietro fino allo scorso secolo segnato dai due conflitti mondiali.
“I Paesi che hanno uno sbocco sul mare possono facilmente importare il petrolio - ha dichiarato Orban - Se all’Ungheria non fosse stato tolto lo sbocco al mare anche noi oggi avremmo un porto”.
Il riferimento del primo ministro magiaro è alla città di Fiume, oggi Rijeka, fino alla Prima guerra mondiale appartenuta all’Impero austro-ungarico e poi prima all’Italia e infine alla Croazia.
Una uscita questa di Orban che ha fatto sobbalzare il governo croato, che subito con una nota recapitata all’ambasciatore ungherese ha sottolineato piccato che “l’integrità del territorio croato è indiscutibile e che non sono accettabili pretese territoriali, neanche quelle espresse in senso retorico”.
Naturalmente nelle reali intenzioni di Viktor Orban non c’è una recriminazione territoriale della città di Rijeka, o almeno si spera, ma la provocazione sarebbe solo un modo per alzare la posta delle richieste ungheresi per togliere il veto al sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea nei confronti della Russia che, come misura principale, prevede entro la fine dell’anno lo stop totale all’importazione del petrolio di Mosca.
leggi anche
Un due di picche sul gas e la scoperta che l’inflazione è alta: servivano 9 ore di volo?
Stop al petrolio russo: il muro di Orban
Da diversi giorni Viktor Orban sta tenendo in scacco l’Unione europea. Il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia preparato da Bruxelles infatti è fermo a causa del sostanziale veto da parte dell’Ungheria.
Non è un caso che Mario Draghi e altri leader comunitari si siano scagliati contro il principio di unanimità chiedendone la modifica. Al momento però il regolamento comunitario è questo e non sarà per nulla facile poterlo modificare.
L’Ungheria forte del fatto che senza la ratifica unanime del pacchetto di sanzioni da parte di tutti i 27 Stati membri non ci potrà essere un via libera, si è letteralmente puntata sull’embargo al petrolio russo visto che ne dipende quasi totalmente al pari della Slovacchia.
Inizialmente Bruxelles ha pensato di poter risolvere la cosa allungando i tempi a questi due Paesi: invece che fine 2022, Ungheria e Slovacchia potranno abbandonare il petrolio russo più gradualmente con il gong che andrà a scattare a fine 2024.
Offerta però rispedita al mittente da Orban visto che, per problemi strutturali avendo un sistema totalmente tarato su misura del petrolio di Mosca, a Budapest servirà tempo e soldi per rimodulare completamente il proprio apparato.
Per cercare di sbloccare la situazione Ursula von der Leyen è volata nella capitale ungherese per offrire a Viktor Orban un finanziamento, si parla di 2 miliardi di euro, da attingere dal REPower EU, il fondo dell’Unione europea per arrivare all’autonomia energetica.
Anche questa seconda offerta però è stata rifiutata, senza contare il malumore di buona parte degli altri Paesi Ue per questa sorta di trattamento di favore che von der Leyen starebbe riservando a Budapest.
In ultimo adesso ecco la provocazione di Fiume, un modo questo per far capire che l’Ungheria non avendo sbocchi sul mare non può facilmente modificare la sua capacità di approvvigionamento di petrolio.
A Bruxelles di conseguenza tutto è ancora bloccato: se per il petrolio si è arrivati a questa situazione, figuriamoci cosa succederà quando a Palazzo Berlaymont si inizierà a discutere anche di un embargo per quanto riguarda il gas russo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA