Pensioni: secondo La Stampa, nel 2030 il sistema pensionistico italiano rischia di crollare. Ecco le motivazioni e le possibili soluzioni.
Pensioni: l’INPS rischia di fallire nel 2030?
Secondo La Stampa, nel 2030 il sistema pensionistico italiano rischia di crollare. Ciò è emerso dalle previsioni demografiche degli esperti e dagli studi sulla spesa previdenziale.
Perché proprio il 2030? Questo sarà un anno drammatico per le pensioni. Infatti, nel 2030 andranno in pensione i nati nel periodo del baby-boom (biennio 1964-1965) e per l’INPS ci sarà un picco di richieste che potrebbero farla implodere. Questo perché se la crescita economica continuerà con questi ritmi, nel 2030 non ci saranno i fondi necessari per sostenere le richieste e quindi le casse dell’INPS potrebbero non reggere.
Invece, nel caso in cui l’INPS riesca a far fronte alle richieste e a reggere l’impatto iniziale, negli anni successivi la situazione comincerebbe a migliorare, per poi stabilizzarsi tra il 2048 e il 2060.
Pensioni: nel 2030 crolla tutto?
Fonti interne all’INPS hanno confermato che nel 2032, quando il sistema pensionistico sarà tutto contributivo, ci potrebbe essere qualche problema nel sostentamento del sistema previdenziale. È per questo che ogni giorno ci sono delle nuove ipotesi per riformare il sistema delle pensioni, finalizzate ad alleggerire la tanto detestata Legge Fornero del 2011.
Tuttavia, secondo alcuni esperti, anche una riforma delle pensioni potrebbe non essere sufficiente a salvare l’INPS dal baratro.
Uno di questi è Raffaele Marmo, collaboratore della Fornero al Ministero del Welfare, che ha dichiarato: “con la disoccupazione che abbiamo e la mancata crescita economica, in un’Italia sempre più anziana, l’INPS rischia di saltare entro 15 anni”.
Secondo Marmo, le previsioni di crescita fatte da Boeri che sono alla base della busta arancione non sono realistiche. Infatti, l’INPS presuppone una crescita del PIL pari al +1,5% annui, ma non è detto che sarà così, come testimoniano le recenti stime sul 2016 che sono del +1,2%.
Pensioni, il 2030 sarà l’anno del crollo? L’analisi demografica
Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Demografia all’Università Bicocca di Milano, ha delineato uno scenario drammatico dal punto di vista demografico. Infatti, come dichiarato da Blangiardo a La Stampa, l’Italia sta andando incontro ad un processo di invecchiamento inarrestabile e ciò avrà degli effetti negativi sul sistema pensionistico.
Entro il 2040 il rapporto tra popolazione attiva (20-65 anni) e i pensionati sarà raddoppiato. Nel dettaglio si passerà da una percentuale di pensionati rispetto ai lavoratori del 37% a una del 65%; ciò comporterà il doppio del carico previdenziale e l’unica soluzione per sostenere questa spesa sarà raddoppiare la produttività.
Questo problema, però, si risolverà demograficamente negli anni successivi. Infatti, mentre nel 2030 lo sbilancio tra pensionati e chi muore salirà a 300 mila (rispetto ai 150 mila di oggi), lo squilibrio comincerà ad attenuarsi intorno al 2040, quando i due gruppi si equivarranno.
Successivamente, intorno al 2050, chi esce dal sistema previdenziale sarà in numero maggiore rispetto a chi ci entra. La spiegazione di questo scenario è semplice; infatti, dopo che negli anni 1964-1965 in Italia c’è stato il boom demografico, negli anni successivi le nascite sono state sempre di meno, tanto che nel 2015 si è toccato il minimo storico (488 mila nati).
Quindi, il problema della sostenibilità delle pensioni si risolverà demograficamente, a patto che l’INPS riesca a superare indenne la fase critica in cui si troverà intorno al 2030.
INPS, le soluzioni per evitare il crollo
Secondo la Corte dei Conti, se in Italia non ci fossero state le riforme del 2011, l’INPS sarebbe già crollata in quanto la spesa per le pensioni sarebbe stata superiore di ben 2 punti di PIL.
Tuttavia, come abbiamo appena visto, le riforme hanno solo rinviato il crollo dell’INPS, che potrebbe avvenire intorno al 2030. Per questo motivo urgono delle soluzioni, ma quali?
Al momento, ci sono due proposte di riforma ed entrambe puntano ad alleggerire l’impianto della Legge Fornero.
La proposta di Tito Boeri prevede il 9% di decurtazione e un’uscita dal lavoro dai 63 anni e 7 mesi in poi con disincentivi. Per la copertura, Boeri punta a un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte.
L’altra proposta è quella del presidente della commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano. Questo vorrebbe un’uscita dal lavoro dai 62 anni e 7 mesi in poi, con un taglio del 2% l’anno fino a un massimo dell’8%. Tutte e due le proposte però non convincono Giuliano Cazzola, secondo il quale ci vorrebbero 50 anni per ammortizzare queste operazioni.
Quale potrebbe essere quindi una giusta soluzione per evitare l’implosione dell’INPS prevista per il 2030? Al momento c’è una proposta di riforma molto interessante che si sta facendo largo e che ribalterebbe l’impostazione sulle pensioni.
Si tratta della proposta di legge a firma Marialuisa Gnecchi (PD), in cui si passa da un sistema previdenziale a uno assistenziale finanziato in parte dalla fiscalità generale. Nel dettaglio, la proposta della Gnecchi prevede una pensione basi di 442€, a cui si aggiungerà quella maturata dal lavoratore con il contributivo. Sarà questa la soluzione giusta per evitare il crollo dell’INPS?
© RIPRODUZIONE RISERVATA