L’Australia rappresenta attualmente il vero ostacolo alla lotta globale contro il cambiamento climatico. I motivi politici ed economici dietro alle decisioni del primo ministro Scott Morrison.
Nella lotta al cambiamento climatico il vero ostacolo, attualmente, sembra essere rappresentato dall’Australia. I Paesi di tutto il mondo si stanno impegnando per la COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che avrà luogo a Glasgow nel novembre 2021,
Infatti, il primo ministro australiano Scott Morrison ha mostrato in più di un’occasione la sua contrarietà nell’intraprendere delle azioni efficaci con l’obiettivo di rispettare gli accordi di Parigi, affermando come l’Australia proseguirà i suoi piani di estrazione del carbone oltre il 2030.
Una tendenza contraria a quasi tutto il resto del mondo e che ha causato uno scontro in cui i vertici delle Nazioni Unite hanno avvertito come l’assenza di politiche del Governo contro il riscaldamento globale potrebbe causare la devastazione dell’economia del Paese.
Monito a cui ha replicato duramente il ministro delle Risorse e dell’Acqua Keith Pitt, dichiarando nettamente che l’ONU “dovrebbe occuparsi degli affari propri” senza interferire nelle questioni nazionali.
Australia vero ostacolo nella lotta al cambiamento climatico
Si preannuncia così un vero e proprio clima infuocato durante i colloqui di Glasgow, dove Boris Johnson farà gli onori di casa, in un vertice che potrebbe essere determinante per il futuro del pianeta.
Dopo la fine dell’era Trump e il rientro di Biden nell’accordo sul clima di Parigi, sembrava infatti che l’occidente fosse compatto nell’intraprendere delle azioni comuni a livello globale per una efficace transizione ecologica.
Al momento l’Australia potrebbe spezzare questa unità, rischiando di causare conseguenze a catena, come è stato osservato nell’accordo commerciale bilaterale siglato con il Regno Unito, in cui Morrison ha fatto cancellare al suo omologo Johnson gli impegni chiave sul clima.
Non sono mancate dure critiche in patria anche nei confronti del primo ministro inglese, accusato di essere stato troppo accomodante nei confronti dell’atteggiamento quasi negazionista del Governo australiano.
I “non impegni” dell’Australia sulla transizione ecologica
Inoltre, Canberra non ha ancora varato il proprio piano sui Nationally Determined Contributions, ovvero il piano nazionale non vincolante che esplicita le azioni che uno Stato dichiara di intraprendere per la sostenibilità ambientale e i conseguenti obiettivi che si aspetta di raggiungere.
Al momento l’unica dichiarazione di intenti da parte dell’Australia prevede il raggiungimento della riduzione della produzione dei gas serra di un volume compreso tra il 26 e il 28% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.
Un programma al di sotto di qualsiasi piano varato da parte delle altre nazioni sviluppate.
L’importanza del carbone nell’economia australiana
Come evidenziato, un ruolo determinante nel frenare le ambizioni climatiche australiane sarebbe ricoperto dal peso economico assunto dall’energia derivante dai combustibili fossili all’interno e fuori i suoi confini nazionali.
L’Australia è il secondo esportatore di carbone al mondo dopo solamente l’Indonesia, con un volume d’affari di 50 miliardi di dollari e oltre 50.000 posti di lavoro impegnati nel settore.
Non solo. Lo scorso anno il 60% dell’elettricità nazionale è stata generata attraverso l’utilizzo dello stesso carbone, mentre solamente il 9% del totale è stato prodotto attraverso l’eolico, nonostante l’Australia possa contare sulla più alta quantità di radiazione solare per metro quadrato di terra a livello globale.
Una politica ambientale da parte del Governo australiano ancora più difficile da comprendere se si pensa ai devastanti incendi subiti a cavallo tra il 2019 e il 2020, i quali, come riportato da diversi scienziati, sono stati causati proprio dagli effetti negativi del cambiamento climatico.
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