Un giugno di storni per il prezzo dell’Oro, ormai stabilmente sotto quota 1.800 dollari l’oncia. Dietro i ribassi la Fed, che pensa a un cambio della politica monetaria entro il 2023.
Dalla Fed, e più precisamente dai membri del Federal Open Market Committee (Fomc), è arrivata la scorsa settimana la conferma delle politiche accomodanti, come ampiamente preannunciato alla vigilia. C’è una data, però, che dalla riunione della banca centrale USA è cerchiata in rosso nel caldenario dei mercati: il 2023. Entro un anno e mezzo, infatti, scatterà il semaforo verde per l’aumento dei tassi d’interesse. E i primi effetti iniziano già a dispiegarsi sul prezzo dell’Oro e sugli altri metalli da investimenti non redditizi.
La commodity, solo a giugno, ha perso infatti il 6,3%, passando dal picco di inizio mese di 1.908 dollari l’oncia ai 1.787 dollari di oggi. Storna anche l’argento, in ribasso del 6,4% a 26,3 dollari l’oncia.
Effetto Fed sul prezzo dell’Oro, -6% a giugno
Finora, come noto, l’Oro aveva ampiamente beneficiato della grande galoppata dei prezzi, che in seguito alla liquidità pompata per garantire la stabilità delle varie economie in piena emergenza pandemica, erano arrivati a toccare nuovi picchi. Fatto avvenuto notoriamente negli Stati Uniti, dove ad aprile e maggio l’inflazione è cresciuta su base annua rispettivamente del 4,2% e del 5%.
Quanto basta a riportare in auge un classico dei safe haven come l’Oro, che però ora si ritrova a fare i conti con l’altra faccia della medaglia, ovvero il rialzo dei tassi come potenziale risposta all’impennata dei prezzi al consumo. Lo stop alla linea morbida delle banche centrali, prima o poi, sarebbe dovuto necessariamente arrivare, ed è chiaro che l’inflazione – sebbene di natura “transitoria” secondo la Fed e il Tesoro USA – ha giocato un ruolo nella ricalendarizzazione (ufficiosa) del ritocco dei tassi.
La virata verso il basso dell’oro, con i vari livelli di supporto bucati, è quindi la naturale conseguenza di uno switch nel sentiment degli investitori, ed era stata preannunciata nelle scorse settimane dagli analisti di UBS, che non vedevano una sostenbilità della quotazione di 1.900 dollari senza una (annesa, ma improbabile) scivolata dei tassi nella forbice compresa tra -1% e 1,2%. La quotazione odierna segna di fatto un ritorno dell’Oro sui livelli di inizio maggio, ovvero poco dopo la diffusione dei dati sull’inflazione USA di aprile.
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