Una Brexit senza accordo costerebbe al Regno Unito 2-3 volte la crisi legata al coronavirus. Lo studio della London School of Economics.
Il no-deal costa al Regno Unito più del coronavirus. A rivelarlo è lo studio condotto dalla London School of Economics, che ha analizzato gli impatti che la Brexit senza accordo con l’UE avrebbe sull’economia inglese.
Il prezzo da pagare sarebbe superiore dalle due alle tre volte rispetto a quanto verrà sostenuto in totale per far fronte alla pandemia da Covid-19 e il lockdown, con la conseguenza di subire un ulteriore shock negativo in una situazione già critica.
Brexit, il no-deal costa più del coronavirus
Nello studio si sostiene che, mentre l’economia dovrebbe riprendersi in circa 18 mesi dopo la drastica contrazione della produzione e della ricchezza osservata nella prima metà del 2020 a causa del virus, gli effetti della Brexit continueranno per almeno una quindicina di anni.
Secondo il modello realizzato dall’istituto di ricerca londinese, il Regno Unito dovrà fronteggiare una riduzione pari a circa l’8% del proprio PIL per 15 anni. Mentre il raggiungimento dell’accordo di libero scambio dell’Unione Europea porterebbe la Gran Bretagna a una perdita del 4,9%.
La crisi economica legata al coronavirus ha portato invece negli ultimi mesi ad un calo del PIL di circa il 20%, ma già dai prossimi trimestri questo si dovrebbe stabilizzare intorno all’1,7%.
Quindi, nonostante nel breve periodo la contrazione del PIL legata al Covid abbia subito degli effetti catastrofici, la durata e la costanza degli effetti della Brexit costituiranno un conto ancora più salato per le aziende e la popolazione.
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Il prezzo da pagare per la Brexit
In termini assoluti si prevede un costo di circa 160 miliardi di sterline totali in caso di no-deal, a fronte di una perdita di 40 miliardi durante il periodo della pandemia.
Il Regno Unito pagherebbe gli ostacoli nel fare affari sul proprio territorio a causa del moltiplicarsi degli aspetti burocratici e degli oneri amministrativi, oltre alla difficoltà di accogliere nuove forze di lavoro sia tra gli extracomunitari che tra i cittadini europei.
Questo oltre ai dazi che verranno applicati alle merci britanniche, che possono andare, ad esempio, dal 10% per il settore automobilistico, fino al 50% per l’esportazione di generi alimentari.
Le prossime mosse di Boris Johnson
Per questi motivi, l’autore del report, il prof. Thomas Sampson, invita caldamente il primo ministro Boris Johnson a riflettere sulle conseguenze prima di prendere una decisione affrettata sul no-deal con l’Unione Europea.
In quest’ottica Johnson dovrà quindi fare un passo indietro anche sull’Internal Market Bill approvato dalla Camera dei Comuni lo scorso 15 settembre, che rimette in discussione le negoziazioni avvenute nei mesi scorsi con le istituzioni europee per l’accordo commerciale tra UK e UE.
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