Il CdM ha approvato lo schema preliminare di decreto legislativo sul diritto d’autore: anche l’Italia si adeguerà alla riforma Copyright dell’UE, ecco cosa cambierà per editori e autori.
Ci potrebbe essere a breve una piccola rivoluzione in Italia per quanto riguarda lo spinoso tema dei diritti d’autore nel mercato unico digitale, con il Consiglio dei Ministri che prima della pausa agostana ha recepito la Direttiva UE 790/2019.
Più di due anni fa, il Consiglio Europeo aveva infatti dato il suo disco verde definitivo alla riforma del Copyright che in precedenza era già stata licenziata dal Parlamento Europeo. A Palazzo Europa, il voto dell’Italia era stato contrario: a farci compagnia Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda e Lussemburgo.
Nonostante il parere negativo, anche il nostro Paese è ora pronto ad adeguarsi alla Direttiva. Dopo la delibera del CdM, a settembre quando riprenderanno i lavori la palla passerà al Parlamento che dovrà esaminare il testo.
Una riforma questa che andrà a cambiare i rapporti tra gli editori e i colossi del web come Google o Facebook, ma che sul tema dell’equo compenso potrà portare delle novità anche per gli autori.
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Da quando la rete ha assunto un ruolo centrale nella nostra vita di ogni giorno, è emersa l’esigenza di aggiornare le norme del diritto d’autore che in Italia sono ferma alla legge del 1941.
In questo scenario, al termine di un lavoro di sintesi durato anni, nell’aprile 2019 il Consiglio Europeo ha approvato in maniera definitiva la riforma del Copyright, con l’Italia che adesso è pronta ad adeguarsi legiferando in materia.
Il testo approvato da Bruxelles prevede che, senza obbligatorietà, gli editori possano accordarsi con le varie piattaforme web per ricevere un pagamento quando vengono utilizzati dei propri contenuti.
Sempre secondo il principio dell’equo compenso, per quanto riguardano le news parte degli introiti dovranno essere condivisi con i giornalisti autori dei contenuti che sono stati condivisi.
Quando non c’è un accordo tra le varie piattaforme e un editore, gli utenti che per esempio condividono dei video non autorizzati su un social network non saranno comunque sanzionati, ma spetterà alle aziende vigilare eliminando il contenuto oppure reindirizzando la monetizzazione.
“Con l’accordo di oggi, abbiamo adeguato all’età digitale le norme sul Copyright - era stato il commento di Jean-Claude Juncker, all’epoca presidente della Commissione Europea - L’Europa avrà ora norme chiare che assicurano un’equa retribuzione per i creatori, diritti solidi per gli utenti e responsabilità per le piattaforme”.
Dopo che è stata approvata la Direttiva, in Francia a novembre 2020 Google ha annunciato un accordo con alcuni editori d’Oltralpe per il pagamento dei contenuti, soprattutto foto o video, utilizzati nelle proprie piattaforme.
Nonostante la scadenza dei termini indicata da Bruxelles al 7 giugno 2021, solo la Germania tra gli Stati membri dell’UE al momento ha recepito in pieno la Direttiva comunitaria.
Cosa può cambiare in Italia
Lo scorso 5 agosto il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema preliminare di decreto legislativo, con grande soddisfazione da parte del ministro Dario Franceschini visto che il testo è stato elaborato proprio dal MIBACT in piena condivisione con “tutte le realtà del settore”.
“Il provvedimento - si legge nel comunicato stampa del Governo - introduce norme capaci di riconoscere agli editori, sia in forma singola che associata, un diritto connesso per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi delle società di informazione, delle società di monitoraggio media e rassegne stampa; in tal senso, viene riconosciuta agli editori la possibilità di negoziare accordi con tali soggetti per vedersi riconosciuta un’equa remunerazione per l’utilizzo dei contenuti da loro prodotti”.
Nel PDF diffuso dal MIBACT, che potete trovare nella sua versione completa in calce al paragrafo, per le violazioni di copyright si specifica che “le nuove norme prevedono che le piattaforme online (compresi i social network), quando concedono l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore caricati dai propri utenti”, hanno l’obbligo di ottenere una autorizzazione “da parte dei titolari dei diritti (sono escluse, tra gli altri, le enciclopedie online, i repertori didattici e scientifici, i prestatori di mercati online, i servizi di cloud)”.
Per quanto riguarda la tutela del diritto d’autore per le pubblicazioni giornalistiche online, è previsto “il diritto degli autori dei contenuti giornalistici a ricevere una quota dei proventi attribuiti agli editori”.
Tale diritto però “non è riconosciuto né in caso di utilizzi privati o non commerciali di pubblicazioni giornalistiche da parte di singoli utilizzatori, né in caso di collegamenti ipertestuali o di utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi”.
A determinare l’entità dell’equo compenso sarà l’AGCOM, che avrà il compito anche di vigilare sul rispetto dell’accordo e di applicare, in mancanza di una comunicazione dei dati, anche delle sanzioni amministrative pecuniarie fino all’1% del fatturato.
I pro e i contro
Chi ha subito salutato in maniera favorevole la fumata bianca in sede di CdM sullo schema preliminare di decreto legislativo è Dario Franceschini, autentico deus ex machina di questa riforma del diritto d’autore nel mercato unico digitale.
“Con il recepimento della Direttiva Copyright viene rafforzata la tutela degli autori e degli artisti con norme chiare e meccanismi trasparenti e adeguati all’era digitale - ha commentato il ministro - Nell’elaborare questo provvedimento, condiviso con tutte le realtà del settore, si è deciso di prediligere la tutela degli autori, dando loro il giusto rilievo”.
Si è detto soddisfatto anche Enzo Mazza, amministratore delegato della Federazione Industria Musicale Italiana: “Un passo fondamentale per la transizione digitale del settore dei contenuti e un punto fermo che riequilibra i rapporti tra le piattaforme e i produttori di contenuti musicali, eliminando quel deleterio ’value gap’ che ha contraddistinto questi ultimi anni di evoluzione tecnologica”.
Non tutti però sembrerebbero essere contenti dal testo elaborato dal MIBACT. Stando a un articolo del Sole 24 Ore a firma di Marco Scialdone, destano più di qualche perplessità le “modalità con cui l’Italia ha inteso recepire le due disposizioni più importanti della direttiva”, ovverosia l’art. 15 (“Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo online”) e l’art. 17 (“Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online”).
In merito all’articolo 15, per Scialdone “si introduce nel nostro ordinamento un vero e proprio obbligo a contrarre in capo ai prestatori di servizi della società dell’informazione, il quale è assente nel testo della Direttiva e, anzi, si pone agli antipodi rispetto alle finalità perseguite dalla norma”.
L’intento della Direttiva comunitaria infatti sarebbe solo quella di “estendere agli editori di giornali lo stesso ambito di applicazione dei diritti di riproduzione e di messa a disposizione del pubblico di cui alla direttiva 2001/29/Ce”.
Sulla validità dell’articolo 17 invece pende il giudizio della Corte di giustizia Europea, tirata in ballo dalla Polonia che ha contestato delle linee guida che l’Italia, sempre per Scialdone, comunque ha deciso colpevolmente di non prendere in considerazione.
“ Un’occasione persa - ha spiegato il giornalista - perché, seguendo quelle indicazioni, si sarebbe, ad esempio, potuto inserire nella definizione di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online un riferimento (chiarificatore) al fatto che essi devono presentare un elemento di concorrenza con altri servizi analoghi i cui contenuti, tuttavia, non sono caricati dagli utenti”.
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