Quando i veicoli a batteria saranno milioni, avremo abbastanza energia pulita per alimentarli? E riusciremo a stoccarla? Terna, Enel e GSE dicono di sì. Ecco come
“Se tutte le auto italiane fossero elettriche non avremmo abbastanza energia per alimentarle: dovremmo costruire decine di nuove centrali a carbone o tornare al nucleare”. Quante volte ce lo siamo sentiti dire? Eppure chi ha fatto calcoli precisi, come Terna, Enel e il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha dimostrato che non è affatto vero.
Pochissimi, però, hanno coscienza di quello che sarà il vero nodo di un’economia elettrica “a zero emissioni”: lo stoccaggio dell’energia. Soprattutto quello di medio e lungo periodo, detto Big Storage. E anche qui l’auto elettrica avrà un suo ruolo. Ma non come parte del problema, bensì come parte della soluzione. La batteria della vettura, infatti, può sopperire alla naturale intermittenza della disponibilità delle fonti rinnovabili.
Se tutte le auto fossero elettriche
Con una percorrenza di poco superiore ai 10 mila km all’anno, che è la media italiana, ogni auto elettrica ha un fabbisogno elettrico di circa 2 Megawattora (MWh). Un milione di auto di 2 Terawattora (TWh), 10 milioni di 20 TWh e così via, fino ai 76 TWh che sarebbero teoricamente necessari per alimentare tutto il nostro attuale parco circolante di 38 milioni di veicoli.
Ma la conversione dalla trazione termica a quella elettrica non potrà mai avvenire di botto: con un tasso di sostituzione dei veicoli inferiore al 5% all’anno, ci vorrebbero almeno vent’anni anche se, per assurdo, da domani si vendessero solo auto elettriche. Ovviamente ce ne vorranno almeno 10 di più, arrivando così al 2050.
Restando con i piedi per terra, il PNIEC prevede che nel 2030 circoleranno in Italia 4 milioni di veicoli a batteria (BEV) e 2 milioni di veicoli ibridi plug-in (PHEV, che consumano anche benzina).
Terna calcola perciò un fabbisogno elettrico aggiuntivo di circa 10 TWh all’anno. Rispetto al fabbisogno nazionale 2019 di 320 TWh, è poco più del 3%. Una percentuale che non arriverebbe nemmeno a coprire il calo della domanda dal picco storico di 339 TWh toccato nel 2007 e nel 2008 (nel 2020, causa lock down, siamo scesi addirittura a 300 TWh).
Anno 2050, la sfida: 700 TWh di energia pulita
Se però alziamo lo sguardo al 2050, data fissata dall’Unione europea per azzerare completamente le emissioni nette di gas serra e mettere al bando i carburanti fossili in tutti i settori dell’economia (oltre ai trasporti, anche gli usi civili, agricoli e industriali) i numeri cambiano radicalmente. L’Italia, infatti, consumerà, e dovrà produrre, una quantità doppia di energia elettrica (700 TWh circa) e tutta da fonti rinnovabili: eolico, idroelettrico, fotovoltaico, geotermico e biomasse.
Anche con un parco auto totalmente «alla spina», però, non sarà assolutamente necessario tempestare la Penisola di nuove centrali nucleari o a carbone. E nemmeno di nuove centrali a turbogas, come sono la maggior parte di quelle oggi in esercizio.
Sarà sufficiente attuare i programmi già indicati nel Piano integrato per l’energia e il clima (PNIEC). Cioè installare circa 7 Gigawatt di nuovi impianti da fonti rinnovabili ogni anno per raggiungere nel 2030 una quota di elettricità da fonti rinnovabili pari al 72% del fabbisogno, contro il 40% attuale. E proseguire allo stesso ritmo nei due decenni successivi. Possono sembrare cifre imponenti, ma è poco più di quanto abbiamo realizzato nei primi anni Duemila ed è quello che stanno facendo altri Paesi europei come la Germania, la Spagna, i Paesi nordici.
Vediamo i numeri. Lo sviluppo della mobilità leggera e il potenziamento dei trasporti pubblici ridurrà a 24 milioni il parco auto circolante a metà secolo. I veicoli elettrici puri saranno 19 milioni e alimentarli genererà un fabbisogno aggiuntivo di 38 TWh, il 5% circa dei consumi totali a quella data.
Elettricità o idrogeno? Entrambe
Saremo in grado di generare 700 TWh di energia pulita, contro i 130 attuali? Le proiezioni di Terna, Enel e GSE, seppure ancora da affinare, dicono di sì. Circa 400 TWh aggiuntivi verranno da fotovoltaico installato sul 10% della superficie edificata e, con impianti utility scale, sull’1% del territorio oggi improduttivo. Altri 150 TWh verranno da impianti eolici. Il rimanente da idroelettrico, geotermico, biomasse e bio carburanti. Sul fabbisogno stimato di 700 TWh annui, quasi 200 saranno necessari solo per produrre idrogeno «verde» da elettrolisi dell’acqua.
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Molti contestano questa scelta strategica, tra l’altro fatta propria dal neo ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. L’idrogeno, dicono, è un assurdo energetico: produrlo richiede tre volte l’energia che può poi restituire. Lungo tutta la catena del processo produttivo, fatto 100% il quantitativo di energia rinnovabile a monte della catena, alle ruote di un veicolo alimentato da idrogeno e altri combustibili di sintesi arriva a malapena il 15%, contro circa l’80% nel caso di un veicolo elettrico. Intendiamo sprecare tutta questa energia rinnovabile? Perché allora non puntare su un’economia elettrificata al 100%?
Nell’immediato le cose non sono così semplici. Per l’industria energivora, come la siderurgia e il cemento, non esistono ancora, ad oggi, soluzioni tecnologiche elettriche sufficientemente mature. Per quanto riguarda i trasporti su gomma, l’elettrificazione del segmento dei veicoli pesanti mostra un ritardo rispetto a quello dei veicoli leggeri - automobili e i veicoli commerciali di piccola e media taglia - che sono invece già oggi efficacemente e convenientemente elettrificabili, tant’è che tutte le case automobilistiche -chi prima chi dopo- hanno puntato pesantemente in quella direzione. Molte, tuttavia, stanno lavorando anche all’elettrificazione dei veicoli più pesanti.
Anche il settore navale presenta ritardi rispetto a quello su gomma. E soprattutto quello aereo, che appare ancora più difficile e sfidante da elettrificare con l’attuale tecnologia delle batterie. Quindi è necessario nel frattempo sfruttare altri possibili vettori energetici come i biocombustibili e, appunto, l’idrogeno. Purché quest’ultimo non sia prodotto a partire da fonti fossili (idrogeno «blu» o «grigio», dal metano) bensì a partire da fonti rinnovabili, quindi «verde». E purché i biocombustibili siano prodotti a chilometro zero, sfruttando biomasse di scarto e non colture dedicate in conflitto con la catena alimentare.
Senza stoccaggio, niente rinnovabili
Poi c’è un secondo problema: lo stoccaggio dell’energia elettrica. Le fonti rinnovabili sono intermittenti e non programmabili: sole, vento, accumuli idrici negli invasi possono scarseggiare, o eccedere il fabbisogno. Oggi le centrali termiche funzionano da riserva di back up. Ma domani, quando le avremo smantellate?
Occorrerà garantire più flessibilità al sistema per non trovarci senza energia nei momenti di massima richiesta, oppure con energia letteralmente da buttare in altri. In Germania, per esempio, l’anno scorso sono stati sprecati 6.500 MWh di elettricità prodotta in eccesso dall’eolico.
In una prospettiva futura di consistente surplus di energia rinnovabile, quindi, l’idrogeno «verde» potrà giocare un ruolo strategico, fungendo da accumulo nelle ore di picco produttivo. Non sarà efficiente in termini assoluti, ma è l’unico vettore energetico non fossile che può essere accumulato e conservato per giorni, settimane, mesi e anche per anni.
Alternative? Attualmente sono utilizzati i pompaggi, cioè il sollevamento dell’acqua da un bacino a valle a uno a monte, adottando pompe elettriche alimentate dall’energia eccedente il fabbisogno istantaneo. Ma i costi economici per ulteriori infrastrutture del genere sono imponenti. E anche i costi ambientali e paesaggistici, in un Paese densamente popolato come il nostro, sembrano quasi improponibili.
Sicuramente una quota di stoccaggio sarà garantita da grandi accumulatori statici (per i quali tra l’altro saranno utilizzate batterie auto recuperate in una seconda vita, in ottica di economia circolare) utili ad equilibrare la rete elettrica nelle oscillazioni quotidiane, quando tipicamente si hanno eccessi di produzione nelle ore centrali del giorno e “buchi” in quelle serali e notturne.
In questo settore, interessanti novità si stanno affacciando sul mercato, come ad esempio le batterie a flusso, o ricaricabili. Sfruttano una nuova tipologia di accumulatore che, tenendo separate energia e potenza, non è soggetta a fenomeni di autoscarica, è più sicura e più stabile. La sta sviluppando una start up italiana, Green Energy Storage, che ha ricevuto un finanziamento europeo di 40 milioni. L’obiettivo è farne un componente standard di ogni impianto di produzione da fonti rinnovabili, piccolo o grande, eolico o fotovoltaico che sia.
Auto elettriche, le batterie su ruote
Ma in realtà, quale miglior strumento di flessibilità, sia come capacità di stoccaggio che di cessione di energia alla rete, di un futuro parco auto di milioni di “batterie su ruote”? Saranno loro la grande batteria collettiva che aiuterà il sistema elettrico a gestire gli squilibri fra una richiesta di elettricità che segue una sua curva giornaliera, settimanale e stagionale molto ampia, ma prevedibile, e una produzione che ne segue un’altra, altrettanto ampia ma più o meno casuale.
Attraverso la tecnologia Vehicle Grid Integration (VGI), le batterie dei veicoli elettrici rappresentano la fonte di flessibilità più promettente per il bilanciamento della rete, grazie alla loro natura di dispositivi di stoccaggio decentralizzati e distribuiti. Opereranno in due modi. Ricaricandosi in modo intelligente, cioè assorbendo energia quando abbonda e interrompendo la ricarica quando scarseggia. Oppure in modo attivo, addirittura cedendola alla rete nei picchi di richiesta.
Terna calcola che già nel 2030, con una penetrazione delle fonti rinnovabili prevista al 72%, il sistema elettrico italiano avrà un fabbisogno di accumulo di 10,5 GW, con una capacità energetica associata di circa 50 GWh. In altri termini, dovrà essere in grado di sopperire per 5 ore ad un ammanco di capacità di 10 GW.
Tutta la scorta d’energia che ci servirà
La batteria di un’auto elettrica ha mediamente una capacità energetica di 50 kWh, dunque un milione di auto elettriche coprirebbe di per sé tutto il fabbisogno di accumulo del sistema. Se saranno 4 milioni, come stima il PNIEC, la capacità cumulata totale sarà addirittura di 200 GWh. Anche se non tutte saranno in sosta, e non tutte quelle in sosta saranno collegate alla rete, di sicuro rappresenteranno una cruciale riserva di energia anti black out.
I veicoli elettrici giocheranno quindi il ruolo chiave come tecnologia abilitante all’incremento radicale delle fonti rinnovabili nel mix energetico nazionale, fornendo alla rete una vasta gamma di servizi, cosiddetti ancillari.
Come si parleranno auto elettriche e rete
Con lo smart charging (V1G) ricaricheranno negli orari di produzione in eccesso a prezzi più bassi, o diminuiranno la potenza di ricarica, su richiesta dei gestori di rete, in quelli di maggior richiesta. E con la tecnologia bidirezionale Vehicle-to-Grid (V2G), potranno anche cedere energia alla rete, diventando decisivi per il bilanciamento, il dispacciamento e la regolazione della distribuzione e della trasmissione.
Sono modalità sulle quali si sta lavorando proprio in questi mesi. Per attivarle è necessario infatti semplificare la normativa e disciplinare i rapporti fra titolari dei veicoli e gestori di rete. Infine, ridurre i costi di abilitazione e di setup per rendere questa tecnologia competitiva sul mercato. Ma una cosa è certa: senza un parco auto elettrificato, anche l’obiettivo delle «emissioni zero» sarà molto più difficile da raggiungere.
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