La Legge Cirinnà sulle convivenze di fatto ha esteso la platea dei diritti reciproci tra conviventi, ma non dice cosa accade quando c’è una casa in comune e ci si separa. Facciamo chiarezza.
Quando si vive una separazione, per gli ex conviventi si pone il problema cruciale di cosa sarà della casa comune e di chi potrà abitarla.
Se, quando i figli mancano o sono autosufficienti, la separazione dei conviventi non sembra dare luogo a grandi dilemmi giuridici, la situazione si fa più delicata quando ci sono in gioco i diritti dei figli, soprattutto minori.
A chi spetta, la casa in comune? Il diritto di proprietà prevale sempre sugli altri diritti di chi abita la casa?
Mettiamo un po’ d’ordine tra diritto all’abitazione, destinazione familiare e diritti restitutori connessi alla casa (un tempo) comune agli (ex) conviventi.
Separazione dei conviventi con casa in comune: guida
- I due requisiti di una convivenza di fatto
- Separazione dei conviventi comproprietari senza figli
- Conviventi comproprietari con figli minori o non autosufficienti
- Separazione dei conviventi con casa di proprietà di uno solo
- Separazione dei conviventi: si può cacciare l’ex?
- La tutela dell’ex convivente affidatario non proprietario
- In conclusione
I due requisiti delle convivenze di fatto
In seguito all’approvazione della cd. Legge Cirinnà (l. 76/2016), affinché si abbia una convivenza di fatto (tra persone maggiorenni), è necessario che vi siano:
- unità stabile di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non collegata a rapporti di parentela, affinità o adozione, matrimonio o unione civile;
- coabitazione in una dimora dello stesso comune.
Al di fuori di queste ipotesi, non si configura una convivenza di fatto, né un’unione affettiva stabile, con conseguente impossibilità di applicazione dei diritti inerenti la disciplina legale.
Separazione dei conviventi senza figli e con casa in comproprietà
Se gli ex conviventi sono proprietari in comune della casa, al momento della separazione potranno profilarsi una serie di possibilità. Tra le più ricorrenti ricordiamo:
- assegnazione della casa ad uno dei due ex conviventi, con riscatto della quota di proprietà altrui;
- vendita della casa e ripartizione dei proventi secondo le rispettive quote di proprietà;
- stipulazione di un contratto di locazione o di comodato a favore di uno dei due ex conviventi oppure a favore di terze persone.
In caso di disaccordo tra i due ex conviventi, non rimane che rivolgersi al giudice il quale, in tali casi, ove possibile ordina la suddivisione dell’immobile in due unità distinte o, in caso contrario, la vendita del bene.
Separazione dei conviventi con casa in comproprietà e con figli minori
Quando ci sono in gioco i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, il titolo legale in virtù del quale si abita la casa passa in secondo ordine, posto che, come sancisce l’articolo 337 sexies del Codice civile, «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli».
Ne discende che, quando due ex conviventi siano genitori di figli minori o non autosufficienti, dovranno trovare un accordo su chi abiterà l’immobile in comproprietà che sia comunque in grado di salvaguardare il figlio: ossia, un accordo che consenta al figlio di ricevere lo stesso livello di cure, educazione, istruzione e assistenza morale avute fintanto che la coppia era unita, come previsto dall’articolo 147 cod. civ.
Quando manchi un simile accordo, sarà il giudice ad ordinare l’assegnazione dell’immobile al genitore collocatario o affidatario, dal momento che la Corte costituzionale, con la sentenza 166/1998, ha per sancito che, coerentemente con l’art. 30 Cost. e gli art. 147, 148 e 261 del Codice civile
«l’assegnazione della casa familiare nell’ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza (…) deve regolarsi mediante l’applicazione del principio di responsabilità genitoriale, il quale postula che sia data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio».
Separazione dei conviventi con casa di proprietà di uno solo
Come conseguenza della responsabilità genitoriale – affermano i giudici della Corte di Cassazione (vedi Cass. sez. I, 26 maggio 2004, n. 10102) – l’eventuale diritto di proprietà o altro diritto di godimento sulla casa di cui sia titolare l’altro (ex) convivente, «in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione dell’habitat domestico», va incontro ad una temporanea compressione, fintanto che il figlio minorenne o comunque non autosufficiente non acquisti indipendenza economica.
In buona sostanza, poco importa se uno dei due ex conviventi abbia la proprietà della casa, se ci sono in gioco i figli: il loro interesse, in quanto protetto costituzionalmente, prevale sull’interesse dei genitori.
Ne consegue che, in caso di mancato accordo tra ex conviventi, il genitore affidatario o collocatario dei figli avrà sempre il diritto/potere di estromettere l’altro dal diritto all’abitazione della casa, a prescindere dal titolo sull’immobile, quando l’unità domestica e il benessere dei figli possa risultare minato dalla permanenza in casa del genitore proprietario ma non affidatario.
Separazione dei conviventi: si può cacciare l’ex?
Ha precisato la Corte di cassazione civile (con la sentenza 19423/2014) che anche dopo la dissoluzione del rapporto di coppia, non è consentito al convivente proprietario ricorrere alle vie di fatto e (detto altrimenti) cacciare l’altro dall’abitazione.
In caso di separazione, dunque, l’ex convivente «cacciato» di casa:
- potrà rivolgersi al giudice per farsi re-immettere nel possesso della casa (cd. azione di spoglio) in caso di estromissione violenta o clandestina;
- ha diritto - in virtù dei canoni di correttezza e buona fede - a un termine congruo per reperire altra sistemazione;
- può tutelare il diritto all’abitazione nella casa dell’ex convivente anche nei confronti degli eredi del convivente.
Su questo tema, in ogni caso, l’art. 1, c. 61 della Legge Cirinnà prevede che, quando esista un contratto di convivenza e la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva di uno dei due, la dichiarazione di recesso dal contratto, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.
A testimonianza di come nessuno, neanche in caso di separazione «violenta», possa essere letteralmente essere messo alla porta.
Separazione dei conviventi e tutela del convivente affidatario
La prevalenza dell’unità familiare e dell’interesse filiale si riverbera anche nei confronti delle terze persone che possano vantare diritti sulla (ex) casa in comune.
E’ il caso, ad esempio, della casa familiare concessa per cortesia agli ex conviventi da un parente, in virtù di un contratto di comodato.
Si pensi alla madre che concede una casa di sua proprietà al figlio, che vi andrà ad abitare assieme alla compagna. Poniamo che i due, nel frattempo diventati genitori, si lascino, e che la madre, in cattivi rapporti con l’ex nuora e nipote, intenda tornare in possesso dell’immobile dove ella abita con il pargolo.
Ci si chiede se la madre proprietaria possa estromettere l’ex nuora e il nipote. La risposta non può che essere negativa, dal momento che, come chiarito dai giudici, in presenza di figli, l’immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario “anche se non proprietario dell’immobile o conduttore in virtù di rapporto di locazione”.
Ciò, a meno che la madre non vada incontro ad un urgente ed imprevisto bisogno.
In qualità di proprietario-comodante in difficoltà, in effetti, ella potrebbe richiedere la restituzione del bene.
Il bisogno, tuttavia, dovrà essere:
- sopravvenuto rispetto alla cessione in comodato;
- attuale (nel senso non riferibile a una condizione passata);
- serio (non meramente pretestuoso);
- realmente connesso a un’esigenza del comodante.
Tali requisiti del bisogno, vanno sempre dimostrati in giudizio, pena il rigetto della domanda restitutoria.
In conclusione
Al di fuori dei casi in cui si debba tutelare l’interesse superiore della prole, in base al quale l’ex convivente affidatario avrà sempre diritto alla casa familiare per tutelare, innanzitutto, le loro ragioni e la destinazione familiare della casa:
- qualora i due ex conviventi non abbiano figli (o i figli siano autosufficienti) e uno dei due sia il proprietario dell’abitazione, resta salvo il diritto/potere di vedersi restituito l’immobile ed abitarvi (a meno che non sia abbia valido titolo, e in tal caso si dovrà pervenire a scadenza del contratto, ad es. di locazione;
- lo stesso vale per il caso in cui la proprietà dell’immobile sia di un soggetto terzo che l’abbia messa a disposizione senza termine: se non ci sono figli e la convivenza finisce, il proprietario che dimostri di aver dato in uso la casa affinché vi abitasse la famiglia, ritornerà in possesso dell’immobile;
- nel caso in cui la casa sia detenuta in virtù di una locazione con un terzo, l’ex convivente al quale non sia intestato il contratto di locazione non avrà diritto di subentrare nel diritto dell’ex convivente;
- in ogni caso, l’ex convivente non proprietario non potrà essere cacciato di casa, avendo diritto a un termine congruo per ricercare un’altra sistemazione.
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