I 3 pilastri dello Smart working sono persone, tecnologie e spazi. Esiste però un quarto pilastro che riguarda l’attenzione all’ambiente: Be the Planet.
Il pensiero più comune è quello di associare lo Smart working esclusivamente a un cambiamento di postazione lavorativa. È questo l’errore in cui cadono le aziende almeno nella fase iniziale di implementazione del lavoro da remoto. In realtà, il primo punto su cui concentrarsi non è il lavoro in sé, ma le persone.
I tre pilastri dello Smart Working
Ecco che entra in gioco il primo pilastro del paradigma dello smart working: Behaviours (tr. comportamenti). Con l’adozione dello Smart Working, infatti, è indispensabile un cambiamento di rotta che implichi un rinnovamento nella cultura aziendale e l’introduzione di un nuovo approccio manageriale che metta al primo posto il benessere del lavoratore (non a caso, la prima B dello smart working può essere interpretata anche come «Be Human», come suggerisce la definizione di NuMoLa). Va da sé che i comportamenti debbano adeguarsi al nuovo mindset: ai dipendenti viene chiesta maggior auto-gestione e auto-organizzazione del lavoro, ai manager maggior fiducia e meno controllo.
Il secondo pilastro è invece quello dei Bytes (tr. tecnologie) e si focalizza sulle potenzialità della tecnologia a supporto dell’apprendimento dei lavoratori e della condivisione costante di informazione all’interno dell’azienda. Non a caso, la Digital Transformation ha favorito l’avvento dello Smart Working portando grandi benefici alle organizzazioni. Infatti, l’uso sapiente di tool e piattaforme per la collaborazione a distanza può generare un aumento della produttività e una più fluida comunicazione e collaborazione tra i membri del team, agevolando l’esperienza lavorativa e rendendo la struttura organizzativa più interconnessa (parliamo anche di Be connected).
Il terzo, fondamentale pilastro dello smart working è Bricks (tr. spazi). Su questo punto è interessante la lettura di NuMoLa del Be adaptive: ”essere adattivo” implica essere flessibili per adattarsi alle diverse situazioni che possono capitare nel corso del tempo. In questo senso bisogna dotare di un nuovo significato l’ambiente dell’ufficio, che non è visto più solo come uno spazio in cui dover lavorare ma diviene un luogo di incontro, di scambio di idee e opinioni che favorisce la cooperazione tra le persone.
La quarta B dello smart working: a Behaviours, Bytes e Bricks si aggiunge Biosphere
Il termine Smart Working è diventato di uso comune da più di un anno ma bisogna considerare il fatto che non è un concetto nuovo, tant’è vero che esistono pubblicazioni sul tema risalenti a diversi anni fa (basti pensare a The Smart Working Book). Da tempo si parla di cambiare visione del lavoro, ma solo con l’avvento della pandemia il lavoro da remoto è cresciuto enormemente, andando a ridefinire e ampliare il proprio campo di azione. Ecco, quindi, che ai tre pilastri descritti precedentemente se ne aggiunge un quarto: Biosphere.
Oltre a modificare la propria cultura organizzativa e a creare uno spazio di lavoro confortevole e attento alle nuove tecnologie, un’azienda che voglia implementare correttamente il paradigma dello Smart Working deve avere consapevolezza anche dell’ambiente esterno che la circonda e in cui essa stessa è inserita. È qui che lo Smart Working può fare la differenza tra aziende smart e sostenibili, attente agli impatti delle proprie azioni sulla società e sull’ambiente, e aziende ancora lontane da questa visione.
In senso più ampio, dunque, il fine ultimo di un’organizzazione smart deve essere quello di agire in maniera responsabile e sostenibile, con l’obiettivo di diventare un modello virtuoso per le altre organizzazioni e per la società, creando impatti positivi di Coalescence Innovation.
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