UE, tornano le sanzioni alla Cina dopo 32 anni: i motivi della decisione di Bruxelles

Pierandrea Ferrari

18 Marzo 2021 - 18:15

I 27 Stati membri dell’UE hanno concordato nuove sanzioni alla Cina per la repressione a Hong Kong e la violazione dei diritti umani e civili della minoranza uigura. Non accadeva dai fatti di Piazza Tienanmen del 1989.

UE, tornano le sanzioni alla Cina dopo 32 anni: i motivi della decisione di Bruxelles

Dopo 32 anni l’UE torna a sanzionare la Cina. E lo fa in tandem con gli Stati Uniti. Nel mirino le azioni repressive di Pechino, dagli oltre 9.000 arresti durante le proteste di Hong Kong del biennio 2019-2020 alla continua violazione dei diritti umani e civili della minoranza islamica e turcofona degli Uiguri, nella regione autonoma di Xinjiang.

Nel dettaglio, gli ambasciatori europei hanno approvato il divieto di visto e il congelamento dei beni di dieci ufficiali coinvolti nei fatti contestati, con i ministri degli Esteri dei 27 Stati membri che si pronunceranno durante la riunione fissata per la prossima settimana. E alla vigilia del primo bilaterale Cina-USA in Alaska anche Joe Biden non fa sconti: arrivano nuove sanzioni per 24 alti dirigenti del Dragone.

UE pronta a sanzionare la Cina

Ma andiamo ai fatti. L’UE contesta alla Cina la repressione dei manifestanti di Hong Kong durante le proteste contro la nuova legislatura sull’estradizione dei latitanti, che avrebbe potuto indebolire la linea di demarcazione tra il territorio autonomo e la Cina continentale in termini di sistemi legali e giuridici.

Oltre 9.000 fermi e 2 morti tra il 2019 e il 2020, ai quali si aggiunge la ripetuta violazione dei diritti umani e civili della comunità islamica degli Uiguri, bollata già come genocidio da Donald Trump. E a ragione: diverse inchieste hanno infatti svelato la sistematica repressione della minoranza dello Xinjiang, tra sterilizzazioni, lavori forzati e campi di rieducazione, che va avanti da anni nella sostanziale indifferenza – e quindi connivenza – della comunità internazionale.

O almeno, fino ad ora, perché l’ultimo meeting degli ambasciatori europei ha rotto gli equilibri, con nuove sanzioni che andranno a colpire dieci ufficiali del regime dopo il semaforo verde dei 27 ministri degli Esteri dell’UE, atteso per il prossimo lunedì. Le misure fanno parte di un pacchetto esteso anche a Russia (caso Navalny) Corea del Nord, Sud Sudan, Eritrea e Libia, e vede Bruxelles impegnata in un delicato gioco di equilibri, tra la necessità di ribadire il suo impegno sul fronte della tutela dei diritti umani e l’esigenza di preservare gli interessi geopolitici e commerciali del continente, e quindi l’asse strategica con la Cina.

Ma aldilà delle prevedibili reazioni (che già montano) del Governo di Pechino, la strada ormai è tracciata, e segna il ritorno delle sanzioni europee verso il Dragone dopo 32 anni, dai fatti di Piazza Tienanmen. E a ruota seguono anche gli Stati Uniti, con Biden che ha già scaldato la vigilia del primo bilaterale con Xi Jinping annunciando un nuovo impianto sanzionatorio nei confronti di alti ufficiali del regime per la repressione delle proteste a Hong Kong.

La Cina si oppone alle sanzioni

Intanto, dalla Cina già trapela una certa insofferenza per la decisione maturata da Bruxelles. “È un grande errore che mette a rischio la fiducia reciproca”, il commento a caldo del portavoce e vice direttore della propaganda del Partito Comunista cinese, Xu Guixiang, aggiungendo che il Dragone si preparerà a “ribattere contro” se l’UE non dovesse rivedere la propria posizione.

Del resto, la Cina ha sempre sminuito la questione Uiguri, bollandola come attività di formazione e istruzione su base volontaria, e continua a non ammettere interferenze nella gestione dei rapporti con le regioni autonome.

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