Il governo Draghi sta spingendo per una condivisione dei brevetti che consentirà di produrre vaccini anti-Covid anche in Italia: le dosi che usciranno dai nostri impianti saranno però gestite sempre da Bruxelles, che poi ci girerà il 13,5% del totale come previsto dal piano UE.
Il pressing da parte dell’Europa sulle case farmaceutiche per una condivisione dei brevetti è asfissiante, roba da far impallidire Arrigo Sacchi, ma per l’Italia cosa può cambiare se anche delle nostre aziende inizieranno a produrre il vaccino anti-Covid?
Per risolvere il problema non di poco conto dei tagli e dei ritardi nelle consegne dell’ambito siero, Ursula von der Leyen sollecitata pure da Mario Draghi ha deciso di puntare tutto sulla condivisione dei brevetti, visto che la strada che porta alla Russia e al suo Sputnik V sembrerebbe essere al momento difficilmente praticabile.
Da giorni così al MISE è attivissimo il nuovo ministro Giancarlo Giorgetti, che ha tenuto più di un tavolo insieme ai vertici dell’industria farmaceutica nostrana. Nell’ultimo in ordine di tempo, hanno preso parte anche il nuovo commissario straordinario Paolo Figliuolo e Franco Gabrielli, l’uomo a cui Mario Draghi ha affidato la delega ai servizi segreti.
Un incontro descritto come molto proficuo, visto che dal tavolo sarebbe uscito un piano per avviare nei prossimi mesi in Italia una produzione del vaccino anti-Covid, sempre a patto che le case farmaceutiche che hanno ottenuto il disco verde dall’EMA decidano di condividere i loro brevetti.
Vaccino prodotto in Italia, cosa cambia?
Per cercare di accelerare nella campagna vaccinale, il governo Draghi si sta muovendo su due fronti: via libera all’unica dose per chi è guarito dal Covid e, sostenendo le trattative di Bruxelles, aumentare la produzione interna all’UE grazie alla condivisione dei brevetti.
Su questo secondo tema, durante il vertice al MISE è stato raggiunto un sostanziale accordo con Farmindustria: auspicando una rapida condivisione dei brevetti, già entro sei mesi (ma ci potrebbe volere un po’ più di tempo) diverse aziende nostrane potrebbero essere pronte non solo all’infialamento, come già avviene, ma anche alla produzione riconvertendo o acquistando i necessari bioreattori.
Questo significa che entro la fine dell’anno i siti individuati saranno capaci di produrre i vaccini per conto di Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson. La stessa cosa dovrebbe verificarsi anche in stabilimenti di altri Paesi europei, aumentando così in maniera netta la produzione.
I vaccini prodotti in Italia però non resterebbero “a casa nostra” ma prenderebbero la via di Bruxelles, che poi li distribuirà insieme a tutti gli altri ai 27 Stati membri secondo le attuali modalità: all’Italia così spetterà sempre il 13,5% del totale, la fetta più grande di tutti.
Si tratta quindi di una soluzione che mira a migliorare le cose per il futuro, a partire dal 2022, considerando che ormai appare chiaro che dovremo vaccinarci di continuo contro il Covid visto il diffondersi delle varianti.
L’avere però un polo tutto made in Italy per la produzione dei vaccini sarebbe un passo molto importante, soprattutto se come si spera in autunno dovesse essere pronto il vaccino di ReiThera, un’azienda biotech di Castel Romano.
In sostanza per avviare una produzione di vaccini direttamente in Italia, sempre a patto che ci sia una condivisione dei brevetti, ci vorrà tra autorizzazioni e riconversioni circa un anno, al nostro Paese spetterà sempre il 13,5% del totale ma i benefici potranno senza dubbio essere più palpabili nel lungo termine.
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