L’accordo UE-Cina sugli investimenti preannuncia una svolta economica: quali vantaggi - e sfide - per l’Italia?
L’accordo UE-Cina sugli investimenti ha lasciato il segno in un turbolento 2020, soprattutto da un punto di vista economico.
L’avvicinamento tra il vecchio continente e il gigante asiatico è stato salutato con entusiasmo a Bruxelles, che dopo trattative lunghe e complesse è giunta a stipulare un’intesa strategica, con la quale favorire il blocco dei 27 Paesi e avvicinare Pechino a regole di trasparenza e standard occidentali.
Cosa significa questa partenership UE-Cina per l’Italia? La sfida è stata lanciata anche nel nostro Paese, tra vantaggi e rischi di non cogliere l’opportunità.
Quali vantaggi per l’Italia con l’accordo UE-Cina?
Se l’intesa economica-commerciale appena siglata da Unione Europea e Cina ha come obiettivo stimolare i reciproci investimenti in settori chiave, l’Italia non può che essere interessata alle più agevoli condizioni che verranno a crearsi.
Il nostro Paese, infatti, potrebbe innanzitutto approfittare di scambi facilitati in un comparto strategico per la crescita del Prodotto Interno Lordo: l’automotive, che rappresenta fino al 7% del PIL nazionale e sul quale Pechino si è impegnata a collaborare.
L’intenzione della potenza asiatica sarebbe, infatti, di aprire con maggiore trasparenza e semplicità l’accesso al suo mercato interno ad aziende europee in un settore cruciale: le auto elettriche ed ibride.
Non solo, con l’accordo UE-Cina vengono rimossi ostacoli ad investimenti nei comparti telecomunicazioni, sanità ed energia. Di nuovo, l’Italia può approfittarne, in primis con le aziende nazionali leader come Eni ed Enel.
E poi anche con imprese sanitarie che volessero investire nella sanità privata per la popolazione - numerosa e bisognosa di beni e servizi - cinese, oltre a poter osare nel tanto rilanciato settore delle telecomunicazioni (anche questo alleggerito da ostacoli con l’accodo).
I rischi di non cogliere l’opportunità
Come tutte le novità, anche l’accordo UE-Cina stimola sfide complesse e, per alcuni versi, inesplorate.
L’apertura del mercato asiatico a investimenti più facili e dalle regole condivise, infatti, interroga sulla capacità degli Stati di saper cogliere un’occasione che richiede cambiamenti anche culturali e di approccio.
L’Italia sarà in grado di sfruttare l’accesso cinese? Se lo chiedono innanzitutto esperti, come l’economista Geraci in un’intervista su Agi news: “ci sono diverse ragioni che mi fanno dubitare sulla capacità italiana di sfruttare questo accordo”
L’economista ne cita almeno tre. Innanzitutto la visione diffusa che investire all’estero significhi delocalizzazione e quindi sia valutato negativamente. Poi c’è da considerare la scarsa conoscenza delle Pmi italiane del mercato cinese. Infine, la questione politica: diversi partiti insistono sulle responsabilità di Pechino nella gestione pandemica e sui temi dei diritti umani, che potrebbero non giovare all’immagine dell’Italia in terra cinese.
D’altronde, la grande sfida europea con questo storico accordo è anche quella di avvicinare Pechino a standard legislativi e di rispetto dei diritti (anche del mondo del lavoro) di tipo occidentale.
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