Con l’entrata in vigore dell’embargo europeo al carbone russo si rischiano ulteriori aumenti in bolletta: intanto l’Italia aumenta la sua produzione nazionale facendo ripartire le centrali.
Da oggi, mercoledì 10 agosto, scatta ufficialmente l’embargo europeo sul carbone russo. I Paesi del Vecchio Continente non possono più comprare carbone proveniente da Mosca. La rinuncia serve a colpire l’economia russa, provando a convincere Vladimir Putin a fermare la guerra in Ucraina, ma rischia di avere effetti pesanti sull’economia europea.
Gli Stati membri, Italia compresa, già colpiti dalle carenze di forniture energetiche e da prezzi in continuo rialzo, devono infatti sostituire il carbone con nuovi contratti o aumentando la produzione nazionale. Questo nonostante si tratti del combustibile più inquinante che c’è, il primo di cui l’Europa vorrebbe liberarsi secondo il Green Deal.
Oggi, però, sul mercato di questo bene i prezzi stanno lievitando, mentre è partito il piano Ue per il razionamento del gas, che la Russia continua a ridurre e si sono interrotti flussi di petrolio tramite l’oleodotto Druzhba. Insomma: il pericolo è di vedere a breve nuovi sensibili aumenti in bolletta.
Il prezzo del carbone sale sul mercato
Lo stop al carbone russo fa parte del quinto pacchetto europeo di sanzioni contro Mosca. Si tratta solo del primo step di limitazione delle importazioni energetiche dalla Russia. Nel 2023 rinunceremo del tutto al loro petrolio, scelta che comporta la necessità di riorganizzare le forniture in modo ancora più radicale.
Nel frattempo, dall’inizio della guerra in Ucraina, il prezzo del carbone è passato da 223 dollari per tonnellata agli attuali 368, sfiorando anche quota 430 in alcune fasi. Fino alla fine del 2020 la Russia forniva più del 50% del carbone importato nel Continente. Ora questa quota si è ridotta, ma rimane molto ampia.
L’aumento della produzione nazionale
L’Italia quello stesso hanno ha importato il 56% del carbone totale, circa 4 milioni di tonnellate e Mosca è il principale fornitore. Il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha messo in piedi nei mesi scorsi un piano per aumentare la produzione nazionale di carbone, proprio per far fronte allo stop dell’importazione dalla Russia, ma anche per sostituire le forniture di gas da Mosca.
Negli ultimi sei mesi di quest’anno il carbone dovrebbe sostituire 1,1 miliardi di metri cubi di gas russo e altri 2,3 miliardi di metri cubi nel 2023. Per questo si vuole innanzitutto aumentare la produzione nazionale, generando 10-12 terawattora di elettricità in più rispetto al 2021 dal carbone o dall’olio combustibile.
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L’aumento, che è definito provvisorio, dovrebbe quindi spingere le sette centrali a carbone italiane a ripartire. Precisamente ad oggi ne sono operative sei, di cui cinque gestite da Enel. Le quattro che sono pienamente in funzione rafforzeranno i loro sforzi, secondo quanto detto dallo stesso Cingolani, per “altri 18 mesi, massimo due anni, senza aprire centrali già del tutto spente”. Ci sarà quindi una deroga alle regole sulle emissioni nazionali, ma rispettando gli standard europei.
Alla ricerca di nuovi fornitori
Aumentare la produzione, però, non basterà. Il nostro Paese dovrà rivolgersi ad altri fornitori, alcuni dei quali hanno già dato il loro ok. Si partirà da Stati Uniti, Australia e Colombia, da cui nel 2020 abbiamo importato per oltre il 30%. Da qui, visti i prezzi sul mercato, il pericolo concreto di nuovi effetti negativi sulle bollette di gas e luce.
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