Il governo Meloni sta pensando di introdurre una tassa sulle consegne per gli acquisti online di alcuni beni, ma solo se fatte con mezzi non ecologici: c’è il rischio che la paghino i consumatori?
Una tassa sulle consegne a domicilio dopo gli acquisti online, con cui ricavare milioni di euro preziosi per la legge di Bilancio. L’hanno già ribattezzata “Amazon tax”, con la maggioranza di governo che ci sta ragionando davvero, visto che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarebbe particolarmente favorevole. La sola notizia di questa ipotesi, però, ha già generato un coro di polemiche e critiche da parte di alcune associazioni di categoria.
L’idea di fondo è allargare e migliorare la web tax, introdotta nel 2019 dal governo Conte II, che imponeva un prelievo del 3% sui ricavi di imprese non residenti in Italia, ma con utenti nel nostro Paese e un fatturato di almeno 750 milioni di euro. L’imposta, però, ha generato pochi ricavi: appena 230 milioni di euro annui, che il governo Meloni punta ad ampliare in maniera sostanziale.
Non si sa ancora a quanto potrebbe ammontare l’aliquota della tassa, ma si ragiona su un numero a doppia cifra. Chi dovrebbe pagare l’imposta? E soprattutto: c’è il rischio che vengano colpiti direttamente i consumatori?
Amazon tax, come funziona
L’Amazon tax avrebbe il duplice obiettivo di “fare cassa”, utilizzando i soldi ricavati per pagare alcune delle misure che sta scrivendo il governo (come il taglio del cuneo fiscale, Quota 103 o l’allargamento della flat tax per gli autonomi), ma anche difendere i piccoli negozi.
Le attività commerciali di piccola dimensione negli ultimi anni hanno subito una concorrenza schiacciante da parte del cosiddetto digital retail e ora sono ulteriormente messe in ginocchio dall’inflazione. Secondo Federconsumatori e Confesercenti, da qui al 2025 oltre 10mila piccoli negozi saranno costretti a chiudere, mentre dal 2009 al 2019 hanno già abbassato le saracinesche oltre 200mila tra negozi e piccole botteghe. L’e-commerce produce invece ogni anno, nella sola Italia, un giro d’affari di 58,6 miliardi di euro, contro i ricavi in picchiata dei negozi di prossimità.
La nuova tassa, quindi, andrebbe a valle del processo, colpendo la rete di consegne a domicilio, ma solo se fatte con mezzi “non ecologici”, come auto o furgoni non ibridi o elettrici, che arrivano direttamente alle case. Per questo motivo Palazzo Chigi preferisce chiamarla «green tax». Verrebbe poi introdotta una soglia di fatturato sullo stile della web tax, in modo tale da non colpire le piccole società di e-commerce, concentrandosi sui giganti del web, che macinano fatturati e ne versano solo delle briciole allo Stato sotto forma di tasse.
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La tassa, quindi, colpirebbe in primis Amazon, ma anche ad esempio Google, con i suoi servizi accessori di consegna. C’è ancora riserbo al ministero dell’Economia, ma secondo alcune ipotesi l’aliquota potrebbe essere addirittura superiore al 10% e arrivare forse anche fino al 20%.
Sarebbero coinvolti tutti i prodotti acquistati su internet, tranne i generi alimentari, i beni di prima necessità e i prodotti legati alla ristorazione. Insomma, sul cibo niente tassa, anche perché contemporaneamente il governo ha intenzione di ridurre l’Iva sui beni primari come pane e pasta e l’operazione, così, potrebbe risultare contraddittoria.
Amazon tax, le critiche e i possibili problemi
Secondo il presidente di Netcomm, associazione di riferimento dell’e-commerce in Italia, la tassa potrebbe “porre un freno a un settore strategico come quello del digitale, che già sta subendo un rallentamento a causa dell’inflazione e dell’aumento dei costi tecnologici e di gestione dell’intera rete”, mettendo in difficoltà in ogni caso “le piccole e medie imprese”, che “hanno trovato nel digitale, in questi ultimi anni, una risorsa strategica per lo sviluppo del loro export”.
Il pericolo, poi, è che i colossi dell’e-commerce possano far ricadere la tassa sui servizi di consegna a domicilio associati o su chi compra online, che sono sia cittadini comuni che imprese, favorendo sì gli acquisti di prossimità, ma rendendoli comunque più costosi e meno accessibili. Non considerando poi che anche gli stessi negozi tradizionali si avvalgono delle consegne a domicilio. Insomma, senza un vincolo a far pagare la tassa esclusivamente alle grandi compagnie, si rischia di generare involontariamente un effetto domino che ricade sul consumatore.
Dalla maggioranza, però, il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri parla di “scelta giustissima”, per cui presenterà degli appositi emendamenti alla manovra in Parlamento. “Non è possibile - dice - che gruppi come Amazon, pagano tra lo zero e l’1% di imposte, mentre ogni azienda, ogni artigiano, ogni commerciante paga il 30-40% di tasse”.
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