Andare in pensione più tardi conviene (e soprattutto fa bene alla salute)

Ilena D’Errico

15 Maggio 2023 - 23:21

La tanto agognata pensione potrebbe avere più svantaggi che altro, affermano gli studi. Ecco perché andare in pensione più tardi può essere la scelta migliore per tutti.

Andare in pensione più tardi conviene (e soprattutto fa bene alla salute)

Gli italiani (e non solo) chiedono di andare in pensione prima, eppure andare in pensione più tardi conviene e fa bene alla salute. È quello che sostiene l’esito di uno studio pubblicato su Cdc preventing chronic disease nel 2015 (e recentemente ripreso da Milena Gabanelli per la rubrica Dataroom del Corriere). Non si tratta di una provocazione, bensì di una vera e propria ricerca scientifica eseguita su un campione di 83.000 persone, secondo cui il pensionamento tardivo è utile a combattere l’invecchiamento cognitivo e l’isolamento sociale. Si escludono, ovviamente, dal campo di ricerca i lavori usuranti per i quali gli svantaggi del pensionamento sono secondi ai benefici.

La stessa conclusione è condivisa anche dalla Società italiana di gerontologia e geriatria, che nel 64° congresso del 2019 ha confermato che il pensionamento incide negativamente sulla salute, nonostante in molti siano portati a pensare il contrario. In particolare, lo studio italiano ha rilevato che nei primi 2 anni di pensione aumentano gli episodi cardiovascolari, la depressione e il ricorso ai medici, con un incremento compreso fra il 2% e il 2,5%.

Insomma, andare in pensione tardi fa bene alla salute, sia fisica che mentale. Non solo, a conti fatti pare che andare in pensione più tardi faccia bene anche al portafoglio. Questo vale anche per l’Italia, seppur in misura inferiore ad altri paesi come il Giappone, gli Stati Uniti e la Svezia. Diamo un’occhiata ai dati.

Andare in pensione più tardi fa bene alla salute, la longevità in Italia

Guardando al solo dato della longevità le statistiche nazionali sono di tutto rispetto: nel 2023 l’aspettativa media di vita è di 84,2 anni (86,1 per le donne e 82,1 per gli uomini. Nella classifica mondiale l’Italia si posiziona così all’ottavo posto, preceduta da un solo grande paese, il Giappone che si posiziona quarto con un’aspettativa di vita pari a 84,95 anni.

L’Italia è anche il paese più anziano d’Europa, con un’età media nazionale di 48 anni contro i 44 europei. Le persone sopra i 65 anni rappresentano infatti il 24% della popolazione italiana, superando i 14 milioni. Un dato che secondo le previsioni Istat dovrebbe continuare a crescere, arrivando a 20 milioni nel 2050. Questo elemento è senza dubbio estremamente positivo, ma mette di fronte a una sfida non semplice per sostenere la spesa sociale. Stando ai dati Ocse, pare che gli italiani trascorrano circa 24 anni in pensione, di cui il primo lasso di tempo (secondo un’analisi di Bloomberg) fra i 16 e i 18 anni in buona salute.

Sembrano esserci le condizioni per tardare effettivamente il pensionamento e così soddisfare due importanti esigenze: il contenimento della spesa sociale e giovare alla salute degli anziani. Ecco che si sono susseguite negli anni varie misure per contrastare l’uscita anticipata e incentivare l’occupazione degli over 65. Il risultato è che molti pensionati italiani continuano a lavorare, così come succede in diversi altri paesi del mondo.

Perché andare in pensione più tardi conviene in Italia e nel resto del mondo

I dati riguardo ai pensionati italiani che rimangono attivi sono molto positivi, nonostante la libertà di scelta sia in qualche modo limitata. Nel settore pubblico, infatti, chi ha maturato i diritti deve per forza uscire a 65 anni (70 solo per alcune categorie, come medici, magistrati e insegnanti). Nel privato, invece, è possibile accordarsi per lavorare fino a 71 anni, scelta che può rivelarsi molto conveniente.

Chi intraprende questa strada rinuncia infatti all’assegno pensionistico (percependo ovviamente lo stipendio) ma potrà beneficiarne in futuro in modo più corposo. Naturalmente una parte dell’aumento è dovuta all’aumentare degli anni di contribuzione, ma in gioco c’è anche l’incremento del coefficiente di trasformazione.

C’è poi un considerevole numero di pensionati italiani che continua a lavorare, secondo un report Istat si tratta di 383.600 over 65 (di cui quasi la metà ha almeno 70 anni). Fra questi, la maggior parte è concentrata fra i lavoratori indipendenti uomini del Nord Italia. In genere, poi, il numero di over 65 attivi in Italia è quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni, rappresentando però solo il 5,1% (contro la media Ocse del 15%). La media è decisamente più alta nei paesi più longevi e anziani, con il primato del Giappone. Quest’ultimo, così come Usa e Svezia, offre infatti diversi incentivi per favorire l’attività degli over 65.

Un altro dato in apparenza sconcertante riguarda la disoccupazione giovanile, che sembra diminuire all’aumentare dell’occupazione degli over 65, soprattutto in Giappone, Corea e Stati Uniti. Si verifica poi anche il contrario, cioè una bassa occupazione degli over 65 corre in parallelo all’alta disoccupazione giovanile. Questo accade in Italia, Francia, Spagna e Grecia. Nonostante ci siano alcune eccezioni, sembra essere smontata la tesi per cui l’occupazione degli anziani tolga il lavoro ai giovani.

Alla luce di queste considerazioni, i motivi per anticipare il pensionamento sfumano notevolmente per chi svolge lavori non usuranti. Al contrario, sarebbe opportuno seguire la scia degli altri paesi (e l’esempio autonomo di diversi italiani) offrendo soluzioni come lo smart working e gli orari flessibili. È infatti innegabile l’invecchiamento della popolazione italiana, a cui il mercato del lavoro deve necessariamente adattarsi per il bene di tutti.

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