Prosegue il supporto Nato all’Ucraina, ma inizia a serpeggiare tra i Paesi il timore di rimanere senza difese nazionali. Anche l’esercito italiano si sta indebolendo con l’invio di armi?
La guerra in Ucraina prosegue senza sosta, senza risparmiare al Paese l’uso di armi proibite, come le bombe a grappolo. Allo stesso tempo, mentre Kyiv continua rispondere agli attacchi con le dotazioni occidentali, il rischio è quello di restare indifesi. Nelle scorse ore è stato raccontato un presunto pressing da parte della Nato affinché l’Italia fornisca sistemi di difesa moderni all’Ucraina, come il sistema Samp-T.
I ministro degli Esteri Antonio Tajani ha smentito nuove richieste di armi italiane da parte degli Stati Uniti, dichiarando che i colloqui con Washington sono costanti, ma normali. Tajani aggiunge un tassello, spiegando che è con i francesi che si sta discutendo l’invio di sistemi di difesa aerea per l’Ucraina.
Il governo Meloni ha più volte ribadito di non volersi tirare indietro rispetto al sostegno al popolo ucraino, che passa anche attraverso l’invio di armi. A differenza del governo Draghi, protagonista accanto a Francia e Germania, Italia al momento sembra sia in una fase di discussione. L’invio di nuove armi in Ucraina è essenziale per mantenere non soltanto operativo esercito ucraino, ma anche per mantenere le promesse fatte all’Ucraina e alla Nato; dall’altra parte l’invio di strumenti hi-tech rischia di lasciare l’Italia senza un’adeguata difesa.
Il sostegno all’Ucraina, alla sua libertà territoriale, vale il rischio di rimanere sforniti del proprio sistema di difesa? È questo il dubbio che serpeggia non soltanto in Italia - lo stesso ministro della Difesa Guido Crosetto giorni fa ha ironizzato sul fatto che i razzi non si trovano al supermercato come i barattoli di Nutella e che ci vorrebbero anni (non prima del 2030) e circa 700 milioni di euro per rimpiazzare una batteria Samp-T - ma anche negli Stati Uniti, in Germania, Francia e Inghilterra.
Sì alle armi in Ucraina, ma cresce il rischio di indebolimento della difesa
La guerra in Ucraina ha colto impreparato gran parte del mondo occidentale, quello che post Guerra Fredda ha limitato sempre di più la produzione di armi e sistemi di difesa. Il lungo periodo di pace che ha caratterizzato l’Europa occidentale, lontana dagli avvenimenti che hanno coinvolto il resto del mondo, ha indebolito di conseguenza la capacità di sostegno a Kyiv di oggi.
Mentre in Europa si decide di inviare armi mandate in pensione, anche di natura offensiva, l’Italia ha diminuito sempre di più il numero delle armi in sostegno all’Ucraina. Ci sarebbero ancora decine di blindati Centauro nei magazzini per esempio, ma l’Ucraina ha bisogno di sistemi di difesa hi-tech. Armi non semplici da realizzare e più complesse da utilizzare.
Fin dall’inizio della guerra l’aiuto della Nato è sempre stato in precario equilibrio. Spingersi oltre una determinata “linea rossa” avrebbe potuto, e può ancora, rischiare di ampliare il conflitto. L’invio di armi più sofisticate, come l’invio da parte di Stati Uniti, Germania e Francia di carri armati, potevano essere percepiti dalla Russia come l’escalation verso una guerra totale.
Così la Nato ha deciso di porre fine al temporeggiamento di rinvio di mezzi occidentali, fornendo all’Ucraina mezzi decisivi per il contraccolpo all’esercito russo. Eppure in questo pericoloso equilibrio emerge sempre di più il rischio secondario dell’invio delle armi in Ucraina: l’indebolimento della difesa nazionale.
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Il governo Meloni sta valutando l’invio di nuove armi a sostegno dell’esercito ucraino. Prima di inviare nuove armi però il sesto pacchetto di difesa deve essere perfezionato e discusso dalle Camere. Lo ha ricordato Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepremier, in un’intervista al Corriere della Sera. Il ministro smentisce la richiesta da parte degli Stati Uniti di sistemi hi-tech come Samp-T. In Italia infatti ci sono soltanto cinque batterie di questo tipo, ognuna delle quali capace di creare uno scudo su una delle grandi città della penisola. L’invio di questo genere di tecnologia svestirebbe l’Italia di un importante sistema di difesa.
Non è la prima volta che si lancia l’allarme della carenza dei sistemi di difesa in vista di rinnovi di invio delle armi in Ucraina, ma l’allarme è sempre tutto nel vuoto, come ricorda il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica ed ex consigliere militare. Eppure l’invio di questo sistema rappresenterebbe un importante svolta per l’Ucraina.
Il rischio di indebolimento della difesa nazionale non è soltanto un sintomo italiano. Gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina circa 19,3 miliardi di dollari in aiuti militari: 104 milioni di munizioni leggere, 2.000 sistemi antiaerei, un numero segreto di munizioni per il lanciarazzi Himars e molto altro. Sembra infatti che, senza aumentare il ritmo della produzione del sistema bellico, agli Stati Uniti serviranno cinque anni per ripristinare le scorte dei Javelin.
L’alternativa è l’invio di mezzi datati, dei quali l’Ucraina si è più volte lamentata per via di inefficienza o della poca sicurezza. L’equilibrio tra la difesa nazionale e gli aiuti all’Ucraina sta vacillando, ma c’è chi ricorda come nei magazzini italiani siamo depositati moltissimi mezzi ormai in disuso equivalenti a quelli che altri Paesi come Spagna, Germania e Francia stanno inviando in supporto a Kyiv.
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