Tantissime le attività chiuse causa Coronavirus, eppure è in aumento il lavoro nero, soprattutto per categorie come parrucchiere, estetiste, idraulici e manutentori: vediamo i dati della CGIA con lo studio del 21 marzo.
Tante le attività chiuse a causa del Coronavirus e delle misure prese dai vari decreti emanati per contenere l’emergenza, ma contestualmente si sta verificando un aumento del lavoro nero.
Parrucchiere e idraulici in primis, ma il boom del lavoro “parallelo” riguarda tantissimi settori, dall’estestica alla manutenzione delle caldaie, passando per i fabbri.
Molteplici dunque le categorie in cui si verifica una concorrenza sleale nei confronti dei lavoratori che non solo pagano le tasse allo Stato, ma che in questo periodo, seguendo le direttive governative, hanno smesso di fatturare.
Secondo lo studio della CGIA pubblicato il 21 marzo, gli abusivi sono in forte aumento in questo periodo di crisi sanitaria ed economica, soprattutto nel Sud Italia.
Coronavirus, attività chiuse ma aumenta il lavoro nero: boom di parrucchiere e idraulici
Sono tante le conseguenze economiche che l’Italia dovrà affrontare durante e dopo l’emergenza sanitaria dovuta all’ondata di contagi da COVID-19.
Tra le misure prese dal Governo per cercare di limitarne la diffusione c’è stata la chiusura delle attività commerciali non essenziali, arrivata prima con il decreto dell’11 marzo, e confermata con il provvedimento del 22 marzo.
Nonostante la maggior parte degli italiani stia seguendo le regole governative dello “stare a casa”, la CGIA ha fotografato una situazione preoccupante: è in forte aumento, infatti, il lavoro in nero.
Lo studio della CGIA pubblicato il 21 marzo registra un aumento del lavoro abusivo nei cantieri edili rimasti aperti, ma non solo: un vero e proprio esercito di oltre 3 milioni di lavoratori irregolari continua a prestare servizio in vari campi, senza pagare le tasse.
Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, segnala:
“[...] poco o nulla si continua a fare contro l’abusivismo e il lavoro nero. E’ vero che in questi giorni una parte degli oltre 3 milioni di lavoratori irregolari presenti nel nostro Paese è rimasta a casa. Ma è altrettanto sicuro che molti altri hanno continuato imperterriti a lavorare abusivamente presso le abitazioni dei privati, approfittando della chiusura totale imposta agli acconciatori, alle estetiste e alla difficoltà da parte dei cittadini di reperire tanti artigiani che sono disponibili solo per le urgenze, ma non per gli interventi ordinari.”
Il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA si riferisce a tante categorie, che in queste settimane stanno subendo una concorrenza sleale: edili, dipintori, fabbri, idraulici, elettricisti e manutentori di caldaie, e tanti altri ancora, danneggiati da chi esercita queste professioni senza averne titolo.
Coronavirus, attività chiuse ma aumenta il lavoro nero: al Sud il triste primato
Secondo lo studio portato avanti dalla CGIA, basato anche sui dati Istat del 2017, sono le regioni del Sud Italia a essere in testa in questa triste competizione al lavoro nero.
I dati Istat del 2017 fotografano la seguente situazione:
- la Calabria ha un tasso di irregolarità pari al 21,6%, con circa 136.400 irregolari;
- la Campania è al 19,8%, con 370.900 lavoratori in nero;
- la Sicilia è al 19,4%, con 296.300 irregolari;
- la Puglia è al 16,6%, con 229.200 lavoratori in nero;
- il Lazio è al 15,9%, con 428.100 irregolari.
La media nazionale, sottolinea la CGIA, è pari al 13,1%.
Le situazioni più virtuose, invece, si registrano nel Nordest. Se in Emilia Romagna il tasso di irregolarità è al 10,1% (con 216.200 irregolari), in Valle d’Aosta è al 9,3% (5.700 lavoratori in nero), in Veneto al 9,1% (con 206.500 irregolari) e la Provincia autonoma di Bolzano si attesta al 9% (con 26.400 lavoratori in nero).
L’Ufficio studi della CGIA ha stimato come si ripartiscono a livello regionale i 78,5 miliardi di euro di fatturato in nero all’anno prodotto a questi lavoratori abusivi.
È chiaro che al livello territoriale la situazione più critica si presenta nel Mezzogiorno: a fronte dei 1.250.000 occupati irregolari, che costituiscono il 38% della nazione, il valore aggiunto generato dall’economia sommersa è pari a 26,8 miliardi di euro (pari al 34% del dato nazionale).
Secondo Renato Mason, il segretario della CGIA, l’economia irregolare trova nell’eccessiva pressione fiscale, così come nell’ingarbugliata burocrazia, un habitat naturale in cui prosperare.
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