Pensioni, stipendi, qualità del lavoro e assistenzialismo: sono diversi i temi sui quali il governo Meloni è concentrato. Ne abbiamo parlato con Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro.
Con l’approvazione del Decreto lavoro del 4 maggio il governo è intervenuto su stipendi, contratti e Reddito di cittadinanza lanciando un chiaro messaggio ai cittadini: no all’assistenzialismo, sì a misure orientate e migliorare la qualità del lavoro in Italia.
In questi giorni il testo del provvedimento è in Parlamento per la conversione in legge: a tal proposito potrebbero esserci novità in merito ad alcune misure, come ad esempio per quanto riguarda il bonus di 500 euro per i contratti a tempo determinato che non vengono trasformati in indeterminato, misura inizialmente prevista dalla bozza ma poi scomparsa dal testo approvato dal Consiglio dei ministri.
Di questa e di altre novità, come pure di ciò che potrà succedere il prossimo anno, ad esempio sul fronte pensioni, ne abbiamo parlato con l’onorevole Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia, presidente della Commissione Lavoro pubblico e privato.
In qualità di componente della XI Commissione permanente lavoro della Camera dei deputati, ritiene ci sia spazio per modifiche significative al testo così come presentato dal governo?
Tutte le misure racchiuse nel Decreto Lavoro andranno a migliorare la qualità del lavoro in Italia. I singoli temi sono frutto di un ragionamento che parte dalla volontà di diminuire il precariato e l’assistenzialismo. Credo sia più corretto analizzare il testo alla luce degli obiettivi che l’impianto si pone di raggiungere, guarderei più a quelli, tra cui la lotta alla povertà e alla fragilità finalizzate all’inclusione sociale. Oltre al fatto che serve semplificare il mercato del lavoro, dai contratti alle modalità di ingaggio, e questo lo stiamo facendo.
Nel Decreto lavoro viene approvata la riforma del Reddito di cittadinanza. Almeno da una prima lettura siamo però lontani dalla stretta che era stata anticipata in campagna elettorale, visto che per le famiglie con minori, disabili e over 60 si passa all’Assegno di inclusione che negli importi e nei requisiti richiama molti aspetti del Reddito di cittadinanza. Si può parlare di passo indietro del governo secondo lei?
Io parlerei di passi avanti notevoli che verranno compiuti dal nostro Paese. Ricordo che la vecchia misura del Reddito di Cittadinanza era incentrata passivamente sull’assistenzialismo. Le nuove misure di inclusione e politiche attive, come l’Assegno di inclusione e lo Strumento di Attivazione del lavoro, mantenendo attivi i necessari sussidi per la platea degli inabili al lavoro, rimettono in moto la nostra forza lavoro grazie a percorsi di formazione e riqualificazione lavorativa.
Inoltre i requisiti previsti per le due misure consentiranno di far sì che soltanto i veri beneficiari avranno accesso. Il reddito di cittadinanza non è stato dunque uno strumento di contrasto alla povertà o perlomeno non completamente (lo dicono gli stessi numeri quando confermano che oltre il 50% delle persone in povertà non ne hanno usufruito). Quando questo Governo si è insediato si è trovato di fronte ad un ambito in cui i percettori del Reddito di cittadinanza, oltre la metà, non erano iscritti ai centri per l’impiego, non frequentavano corsi di formazione, seppur obbligatori, e non erano facilmente individuabili. Là dove c’è veramente una povertà importante, noi stiamo cercando di trasformarla in occasioni di lavoro, mettendo la parola fine all’assistenzialismo. Stiamo sostituendo la mera assistenza con il rendersi proattivi nei confronti del mercato del lavoro.
C’è anche la conferma della politica attiva legata alla misura di sostegno. Continuerà ad essere compito dei centri per l’impiego, ai quali si affiancheranno le agenzie private per il lavoro, assistere i componenti occupabili così da fare in modo che possano trovare un nuovo impiego nel minor tempo possibile. A questo punto è lecito pensare a un ritorno degli ex navigator, formati in questi anni con risorse pubbliche salvo poi essere messi in disparte una volta venuta meno l’intenzione di proseguire con il Rdc?
È necessario riformare i centri per l’impiego, in quanto funzionano male quasi ovunque. Alcuni devono funzionare meglio, integrando il personale - oggi siamo a meno di 4 mila persone - che deve essere formato e specializzato; altri sono invece delle eccellenze e proprio da questi dobbiamo apprendere se vogliamo far fare un salto di qualità al sistema che dovrebbe mettere insieme domanda e offerta.
Nel Decreto istitutivo del Reddito di Cittadinanza c’era la previsione di assunzione per oltre 11.000 addetti, dove sono? Abbiamo ancora eseguito, anni fa, un’indagine conoscitiva sui Centri dell’impiego e il dato che ne è emerso è drammatico: la percentuale di persone con una reale opportunità si attesta sul 3%. E parliamo di possibilità, non di chi poi sia riuscito a trovare lavoro a tutti gli effetti. Sono per puntare sulla formazione continua e certificata, sia dei lavoratori sia di chi percepisce un sussidio e dei disoccupati. In alcune occasioni la formazione, certificata e di qualità, dovrebbe essere obbligatoria.
Nella risoluzione di maggioranza sul Documento di economia viene chiesto al governo di valutare soluzioni per aumentare le pensioni minime e quelle d’invalidità. Ritiene possa essere fatto già nel 2023 oppure bisognerà attendere per forza il 2024? Ed eventualmente in che modo contate di raggiungere un tale traguardo?
Dal primo luglio, come previsto dal Governo Meloni nell’ultima Legge di Bilancio, scatteranno gli aumenti per i trattamenti pensionistici al minimo, con il recupero degli arretrati per i mesi da gennaio a giugno. La risoluzione sul Def approvata dal Parlamento, che prevede lo scostamento di bilancio da 3,4 miliardi, consentirà in autunno un ulteriore intervento per alzare l’importo dei trattamenti pensionistici più bassi. Inoltre con la prossima legge di bilancio il Governo valuterà anche un rafforzamento delle pensioni di invalidità.
Ci sono misure che pur essendo previste inizialmente nella bozza del Decreto lavoro non hanno poi trovato spazio nel provvedimento definitivo. Pensiamo ad esempio all’aumento del limite di deducibilità per i contributi di colf e badanti (da 1.500 a 3.000 euro), come pure il bonus di 500 euro per i lavoratori a tempo determinato che non vengono stabilizzati dall’azienda. Ci sono possibilità affinché queste vengano comprese nel provvedimento in fase di conversione parlamentare?
Sono misure importanti su cui il Governo ragionerà e lo farà a breve. Non è escluso, inoltre, un intervento parlamentare.
Concludiamo con quello che è uno dei provvedimenti più importanti del Decreto Lavoro: il taglio del cuneo fiscale portato al 7% per chi guadagna fino a 25 mila euro l’anno (6% per i redditi superiori ma entro i 35 mila euro). C’è però chi lamenta un paradosso, in quanto chi ha un importo lordo di poco superiore a 35 mila euro rischia di avere uno stipendio netto più basso rispetto a chi invece rientra nella suddetta soglia. Farete qualcosa per risolvere questo scalone?
Siamo intervenuti a favore dei redditi più bassi, stanziando circa tre miliardi e mezzo per sei mesi che non è poco. Per chi avrà un reddito superiore a 35mila euro la tredicesima sarà più alta rispetto alle fasce di reddito più basse. L’obiettivo del Governo è di rendere strutturale il taglio del cuneo, ma per farlo oggi servirebbero circa 10 miliardi di euro, sono una cifra importante, va certamente reperita. Quando si tratta di conti pubblici bisogna essere sempre cauti, quindi con vari step questo intervento diventerà strutturale.
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